La morte di Ruggero



Il 2 aprile 1946, la tragica morte di Ruggero: non aveva ancora venticinque anni, era sano, allegro, bello, pieno di speranze per il futuro. Per noi tutti - che ci ritenevamo fortunati di non averlo perso in guerra - fu un colpo terribile. Sua moglie Franca aveva solo ventidue anni: tutti eravamo inconsolabili, ma quella che non si dava pace era la mia mamma.

Cominciò a pensare che forse Ruggero avrebbe voluto parlarci, che non era possibile non sapere più niente di lui, non era possibile che tutte le sue energie, il suo coraggio, la sua gioia di vivere, se ne fossero spariti in un attimo nel nulla.

La mamma ricordava l'esperienza di una nostra zia, che anni prima era entrata in contatto con una medium di Bologna con risultati piuttosto incoraggianti, dai quali aveva tratto la convinzione che esiste la possibilità di comu­nicare con una dimensione diversa.

Noi tutti, cioè io, mio marito, mio padre, mia cognata, cercavamo di dissuaderla: non ci eravamo mai occupati di simili cose. Direi che ne avevamo un senso di diffidenza e non ci interessavano né gli oroscopi, ne' la lettura delle carte, né la radioestesia. “ E poi - dicevamo alla mamma - per avere queste comunicazioni ci vuole un medium ”. E la mamma: “ Qualcuno fra noi potrebbe esserlo ”.

Nel pomeriggio del 28 maggio 1946, in casa dei miei genitori presente la zia che aveva avute quelle esperienze, decidemmo di accontentare la mamma, convinti che di fronte all'esito negativo di questo esperimento si sarebbe calmata. Istruiti dalla zia sulle modalità delle sedute, in pieno giorno, ci sedemmo intorno ad un tavolino piuttosto basso. Eravamo in sette, facemmo la catena tenendo la punta delle dita sul piano del tavolo. Dopo pochi minuti il tavolo si alzò e ondeggiò fra noi, battendo dei colpi: l'emozione fu enorme. Ricordo benissimo che Roberto, allora quindicenne, diventò molto pallido e noi, un po' preoccupati, decidemmo di smettere subito.

La sera, a casa mia, raccontai tutto a mio marito: ma egli era scettico, pensava che ci fossimo tutti suggestionati e propose di riprovare a casa nostra, ma senza Roberto che era troppo giovane per simili emozioni.

Un pomeriggio mandammo Roberto e mio figlio Gilberto al cinema e riprovammo l'esperimento con le stesse persone presenti la prima volta. Ma non successe niente, il tavolo non si mosse né si sollevò di un centimetro.

Mio marito sperava che di fronte a questo esito ne­gativo ci fossimo tolte queste idee dalla testa: ma ora anch'io ero interessata. Ero sicura che il tavolo si era mosso e sollevato tanto da non poterlo più seguire con le braccia in alto: poi era ripiombato in terra battendo dei colpi, ripetutamente.

Così, quando anche Roberto insisté per provare un'altra volta e disse che lui non si era per niente spaventato alla prima esperienza, anche mio marito fu consenziente. Con Roberto in catena il tavolo si sollevò come la prima volta e quando domandammo chi era il medium, con i colpi il tavolo compitò

“ Roberto”.

Iniziò così l'estrinsecazione della sua medianità: per poco tempo con il tavolo, poi passò alle comunicazioni per scrittura automatica. Cioè Roberto sentiva il braccio e la mano destra come autonomi dalla sua volontà e scriveva con varie grafie, ad occhi chiusi. Ruggero ebbe veramente delle cose da comunicare alla sua giovane moglie, a noi tutti. Ci indicò dove teneva un suo diario, citò e terminò l'ultima frase del diario stesso. Per un po' di tempo comunicò con noi, insieme ad altre entità legate ai presenti alle sedute da vincoli di parentela o di affetto che si presentavano con la grafia di quando erano sul piano fisico.

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