"... Io sono fermamente convinto che l'uomo di media cultura di questa
civiltà, con gli strumenti che ha a sua disposizione, cioè
le sue conoscenze e la sua intelligenza, possa farsi un'idea di Dio che
non sia un oltraggio alla ragione e che, al tempo stesso, sia aderente
alla realtà. ...
Siccome a Dio si fa risalire l'origine di tutto quanto esiste, prima
di credere che Dio esiste, è lecito che io, uomo di questa civiltà,
mi domandi se l'esistente ha avuto un origine, oppure non sia esistito
da sempre; che parta cioè dalla posizione dei cosiddetti "atei"
e mi ponga, come ipotesi di lavoro, che la realtà, nella quale siamo
immersi, sia perfettamente materiale e che non sia stata "originata", cioè
sia esistita da sempre.
E' chiaro che, in questo caso, non avrebbe una fine, perchè
ciò che fosse esistito da sempre, non potrebbe cessare di esistere.
Io posso immaginare che una civiltà distrugga se stessa, ma non
che la materia, posta come unica realtà esistente, cessi di esistere.
Se invece posso ragionevolmente credere che il cosmo, ossia l'insieme
degli universi, finisca consumato dalla sua stessa esistenza, allora è
chiaro che ha avuto un origine, e se ha avuto un origine è altrettanto
chiaro che tutto quanto è esistito, esiste, esisterà, non
è tutto in senso assoluto, perchè oltre quello esiste per
lo meno una causa generatrice, cioè una causa che era prima che
l'esistente fosse. Vedremo poi che considerazioni fare su questa
causa.
Allora so che le osservazioni degli astronomi moderni hanno portato
alla constatazione che viviamo in un cosmo in espansione, cioè che
gli universi si allontanano gli uni dagli altri e da un centro dello spazio
(centro ideale ovviamente).
Sulla base di questi dati di fatto incontrovertibili, sono nate due
principali ipotesi per spiegare l'origine e lo sviluppo del moto di traslazione
degli universi; entrambe le ipotesi concordano sull'origine che sarebbe
la conseguenza di una esplosione avvenuta in questo punto ideale, in questo
centro ideale del cosmo.
Ora, per pochi istanti, consentitemi di tornare nei miei panni di disincarnato
per affermare che quest’ipotesi è perfettamente azzeccata, come
lo dimostra la formula einsteiniana secondo cui la massa di un corpo in
movimento è uguale alla massa dello stesso corpo diviso la radice
quadrata di uno meno il quadrato della velocità a cui è sottoposto
il corpo diviso il quadrato della velocità della luce.
Detto questo chiudo la parentesi e me ne torno nei miei panni di incarnato
a esaminare le ipotesi di cui dicevo.
Ora, noi intanto possiamo osservare che il limite dove, secondo la
prima ipotesi, la materia che compone i corpi stellari, si smaterializzerebbe,
ovvero, nell'altra ipotesi gli universi invertirebbero la marcia e tornerebbero
a concentrarsi nel punto ideale centrale, sarebbe in ogni caso un limite
al cosmo, anche se lo spazio fosse di tipo euclideo, cioè infinito
e indipendente dalla materia. Dunque secondo l'una e l'altra ipotesi
il cosmo sarebbe limitato e necessariamente sferoidale.
Ora, ciò che è limitato non può avere una durata
illimitata, e questo mi basterebbe, perchè se il cosmo finisce,
è chiaro che ha avuto un'origine e quindi una causa. Ma io
preferisco invece proseguire nell'esame delle due ipotesi per vedere se
mi conducono ad una diversa conclusione.
Ripeto: secondo la prima, il destino del cosmo astronomico sarebbe
la graduale ma totale fine per smaterializzazione; secondo l'altra sarebbe
una sorta di moto perpetuo, di andirivieni dal centro alla periferia di
questi corpi celesti, di questi universi.
Ora, io che mi reputo un ateo serio e coerente, debbo prendere in considerazione
solo la seconda ipotesi, perchè, come ho detto prima, se ammetto
la prima, ammetto la fine del cosmo, e quindi l'inizio, e quindi la causa.
Debbo invece vedere se posso ragionevolmente credere che il cosmo sia una
sorta di perenne "pulsazione", un moto perpetuo di questi corpi celesti,
oppure una trasformazione continua della materia che lo compone.
Il "Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma" sembrerebbe
confermare questa ipotesi.
Ora, io so che il principio della conservazione della massa, dichiarato
universalmente valido dalla meccanica classica, ed il principio della conservazione
dell'energia (visto che si è scoperta la relazione che lega la massa
all'energia) sono stati invece smentiti, direi in modo dirompente, dalla
scoperta dell'energia atomica. Non solo, ma anche più recentemente,
dall'esame di certi fenomeni che avvengono nello spazio intergalattico.
Ora, la mia cultura non specialistica, di uomo di questa civiltà,
non mi consente di addentrarmi con osservazioni scientifiche nell'esame
di eventi cosmici, è chiaro; posso però capire, dai fatti
con cui mi scontro tutti i giorni, un principio molto importante e cioè
che per fare un lavoro ci vuole energia, e che nessuna macchina e nessun
sistema non produrrà mai più energia di quanta ne consumi,
altrimenti il moto perpetuo non sarebbe più un assurdo meccanico.
...................
Allora, tornando alla mia teoria, mi pare che io possa pensare con
ragione che se anche questo moto di va e vieni, dal centro alla periferia,
dei sistemi stellari, si ripetesse indefinitamente, l'energia necessaria
a questo moto, ancorché si generassi in qualche modo, magari a spese
della massa della materia, non si rigenererebbe mai in misura totale, per
cui a lungo andare sarebbe la stasi, cesserebbe il moto del cosmo.
Che poi questa stasi riguardi il divenire della materia o la materia in
se stessa, per l'aspetto che mi sono posto del problema non fa alcuna differenza,
perchè pervengo a concludere che se il divenire cessa, vuol dire
che ha avuto un inizio ed una causa, e questo mi basta.
Tuttavia mi sembra più logico pensare che, se cessa il moto
in seno al cosmo, non cessa solo il moto di traslazione degli universi,
ma cessa il moto delle particelle e dei corpuscoli in seno alla materia
e quindi cessa la materia e cessa lo spazio, emanazione della materia;
e cessa il tempo, dimensione dello spazio.
Noi abbiamo visto che il riassorbimento nel piano fisico consiste nella
migrazione della materia dal centro alla periferia del cosmo; nel piano
astrale il movimento è perfettamente l'opposto, dalla periferia
l'energia si ritrae, si concentra nel centro ideale; il piano mentale è
analogo al piano fisico: la mente si spersonalizza, si espande, raggiunge
la periferia; il piano akasico è simile al piano astrale, cioè
la rifrazione di sentimento in un unico punto del sentire; nel piano spirituale,
il Logos, centro di questo piano che si espande, torna nella indifferenziazione.
Vedete come, in fondo, questi movimenti caratterizzino, poi, il destino
degli individui: la mente che si spersonalizza, l'energia che si ritrae,
il sentimento che si fonde in una comunione unica, il Logos che torna alla
vastità del tutto.
Dopo aver detto tutte queste belle cose ho il dovere, però,
di avvertirvi e di dirvi che per farle capire a voi, noi ci serviamo di
immagini di comodo, salvo poi mettere in evidenza tutti i limiti.
Tuttavia questa immagine non rende tutta la verità, anche se
può sembrarlo. Se voi domandaste ad un'entità del piano astrale,
che stesse ascoltando questa sera, dov'è, essa vi direbbe che è
qui fra voi, in un dato punto della stanza, confermando, in qualche modo,
con la sua asserzione, l'esistenza di uno spazio oggettivo, contenente,
in tutti i punti della sua estensione, i diversi piani di esistenza.
Io vorrei, invece, farvi capire che se un'entità, rivestita
di un corpo astrale, vi potesse vedere, ciò non sarebbe dovuto al
fatto che divide il vostro spazio e quindi, potendo percepire il più
sottile, necessariamente dovrebbe percepire il più grossolano, ma
per un'altra ragione. Infatti se voi, abitanti del piano fisico,
aveste la possibilità di vedere a livello più sottile (poniamo
il livello atomico) voi non vedreste più gli oggetti che vedete,
ma vedreste unicamente un ammasso di atomi come un cielo stellato in una
notte serena. E non basterebbe la diversa densità dello spazio,
il diverso numero di atomi che costituiscono l'aria e gli atomi che costituiscono
i corpi, a farvi percepire gli oggetti. ......
Allora, questa immagine, di cui dicevo all'inizio, del cosmo come un'enorme
sfera, se ha il pregio di farci capire che i piani di esistenza non sono
tanti cicli o inferni danteschi, ha tuttavia il difetto di farci credere
in uno spazio oggettivo.
Ora, noi abbiamo ricordato, questa sera, che qualcuno considera lo
spazio come una sorta di emanazione della materia; ciò è
molto se riesce a staccarsi dal concetto del vecchio spazio euclideo, quello
della geometria o meccanica classica; ma non è abbastanza se, per
capire che non esiste uno spazio vuoto, noi pensiamo a uno spazio tutto
pieno di materia.
Allora vogliamo servirci di un'altra immagine di comodo, un altro esempio.
ESAME DELLA "PRIMA CAUSA"
Dunque la prima causa è "eterna".
Se è illimitata vuol dire
che niente la limita e quindi posso affiancare a questo concetto, l'altro
concetto: è infinita. Se è infinita non esiste un punto
ove essa non sia, quindi è onnipresente, e poichè è
eterna, è "l'eterna onnipresenza".
Ora, se guardo con quanto ordine e intelligenza si svolge la vita naturale
del creato, non posso non credere che altrettanto ordine ed equilibrio
non sia in ciò che ne è stato la causa. Per cui questa
"prima causa" o Dio, deve necessariamente essere, perlomeno, tanto intelligente,
e quindi sapiente, della totalità di ciò che ha generato.
Non solo, ma non posso pensare all'emanato come a qualcosa staccato
da dio, che ne viva autonomamente, senza negare a Dio il suo carattere
assoluto; perciò l'emanato deve rimanere in Dio.
Allora quanto noi percepiamo non è la realtà; è
l'apparenza di essa. Sono congetture che la nostra mente costruisce su
informazioni che le pervengono dai sensi, ma non è la realtà
di ciò che è.
Allora com'è conciliabile questa apparenza con una realtà
diversa?
Allora cosa significa?
DIVENIRE ED ESSERE
Voi pensate
alle fasi successive della vostra esistenza come a delle promozioni in
carriera, come un impiegato può passare e diventare capoufficio
o direttore cambiando le sue mansioni, ma non il suo "essere".
Solo il "sentire" appartiene alla realtà dell'essere". Così
quando osserviamo un'esistenza nelle sue fasi, comprese dal selvaggio al
superuomo, noi non osserviamo un selvaggio che "diviene", ma osserviamo
le molteplici fasi di esistenza, cioè di "essere" di quella individualità,
e poiché le fasi si susseguono dal più semplice al più
complesso, voi dite che l'individuo evolve. Noi pure lo diciamo,
le parole sono le stesse, ma ciò che vogliono significare è
profondamente differente.
Questo sarebbe meraviglioso in politica, ma siccome noi politici non
siamo, quando parliamo vogliamo significare qualcosa; così quando
diciamo che l'individuo "evolve", non intendiamo dire che l'individuo "diviene".
Un'esistenza individuale è già tutta completa in sè;
niente può aggiungersi ad essa. Così "evolvere" non
può significare "crescere", ma può voler dire solo che i
differenti "sentire" di quella individualità, si manifestano, vivono
l'attimo eterno dell'esistenza.
Ciò è incomprensibile se si crede che l'Emanato si sviluppi
in un tempo oggettivo, staccato da Dio, vivente una realtà senza
tempo.
Comprendo la vostra difficoltà ad afferrare questi concetti.
Il mondo che voi osservate è un mondo che sembra in continuo divenire;
la realtà che cade sotto i vostri occhi, vi pare una realtà
che continuamente divenga, certo, ma dovete tenere presente che questo
è quello che appare, non quello che è.
Ecco quello che andiamo ripetendovi da tempo: "La verità non
è che voi osservate un mondo che diviene, ma è che voi avete
una visione dinamica di un mondo statico. Non è la piante che cresce,
che continuamente diviene, ma siete voi che ne osservate, in successione,
le fasi di esistenza, voi che credete che le fasi già osservate
non esistano più. Errore! Esistono nella eternità del non
tempo."
"Allora", direte voi. "Dove nasce il movimento?"
Che cos'è lo spirito? E' l'essenza del tutto; è
l'essere del tutto; è l'esistere del tutto; è il sentire
del tutto; il sentire assoluto inteso come sentire dell'insieme comprendente
il sentire delle parti. Noi siamo il sentire delle parti, che è
un sentire relativo e molteplice.
Ma come potrebbe mantenersi l'unità di Dio, in questa molteplicità,
se ogni sentire, dal più semplice al più complesso, non fosse
unito all'altro? E come potrebbe realizzarsi questa unione, questa
continuità, se non col fatto che il sentire più complesso
contiene il sentire più semplice?
Noi, quali ci sentiamo, quali crediamo di essere, esistiamo solo nell'illusione
della separatività.
Ripeto: il fatto che il sentire più complesso comprenda il più
semplice, genera nell'individuo l'illusione di provenire "da" e di tendere
"a", e quindi l'illusione del divenire; ma è lo stesso fatto che
realizza l'unità del tutto unendo, come un filo, tante perle in
collane; sentire elementari, corrispondenti a sensibilità di piante
ed animali, a sentire più complessi, corrispondenti a visioni limitate
e circoscritte della realtà, come sono nell'uomo; e poi a sentire
sempre più complessi, corrispondenti a visioni sempre più
ampie, e poi a "comunioni" sempre più estese, fin'oltre l'ultimo
scorrere, l'ultima separazione: l'identificazione in Dio.
Come spiegare più chiaramente ciò, Padre? Questo Tuo
essere tutti noi che ci conduce a riconoscerci in Te? Come dirlo se nel
momento che Ti chiamo o quando Ti penso, non chiamo Te, non penso a Te,
perchè Tu non sei quello che riesco a pensare?
KEMPIS
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