Ogni uomo, nel corso della sua vita, si chiede anche reiteratamente
se la morte del suo corpo trarrà seco quell'io sono che è
dimostrazione della sua esistenza.
La paura della propria morte è un coacervo di timori, apprensione
per l'ignoto, orrore che la morte in sé rappresenta, panico al pensiero
che sia dolorosa, peritanza arrecata dall'istinto di conservazione, sgomento
per dover lasciare il proprio mondo, ma soprattutto terrore del nulla,
cioè che cessi quell'io sono, quel sentirsi d'esistere che proviamo
vivendo e che crediamo sia attributo proprio e particolare della vita del
corpo.
Se si riuscisse a trovare la certezza che l'io sono, che si crede faccia
esistere, non cesserà, forse una buona dose dello spavento che la
morte infonde vorrebbe meno.
Chi vuol vederci chiaro, intanto, deve tener presente che la coscienza
di esistere, il sentirsi d'essere, non è legato all'io, essendo
il senso dell'io il prodotto delle limitazioni e di un conseguente errato
modo di concepire la Realtà.
Il sentirsi di esistere non viene mai meno. Chi, con un rapido esame, si volge indietro a cercare nel suo passato una conferma a questa affermazione, può restare perplesso. Nel sonno, la coscienza di esistere viene meno? Certamente no; questo lo affermano anche gli studiosi della materia. Il fatto che certi sogni si dimentichino subito, al rientro nello stato di veglia, e che quindi nel ricordo vi sia una lacuna che può dare l'idea di una vacanza del senso di esistere, non significa che un vuoto vi sia stato effettivamente. Sapreste ricordare nei particolari che cosa avete fatto tre anni fa?
Probabilmente non lo ricordate, eppure lo
avete vissuto, eppure il vostro sentirvi esistere era presente anche
allora, in quella porzione della vostra esistenza che, ora, costituisce
un vuoto nel ricordo.
Nel coma, invece, come nella anestesia totale, come nel cosiddetto
riposo dell'Ego, sembrerebbe che effettivamente la coscienza d'esistere
venisse meno per un certo tempo. Tuttavia la spiegazione è facile:
il tempo oggettivo non esiste; quella che sembra una soluzione di continuità
nel sentirsi di esistere dell'addormentato, per lui non lo è affatto;
lui sente di esistere senza interruzione quello che per gli altri è
un tempo lunghissimo; per lui è come andare a capo nella lettura,
come voltare una pagina. Sono gli altri che vivono situazioni, fotogrammi,
episodi che lui non vive. Il suo sentirsi di essere non si arresta in attesa
che gli altri vivano ciò che debbono vivere, ma scorre nelle successive
situazioni che deve sperimentare senza arresti, senza soluzione di continuità,
sia che gli altri contino un'ora o un giorno o un anno.
Questa esperienza, in qualche modo, la si può costatare anche
col sonno naturale del corpo fisico. Talvolta vi sembra di aver dormito
un attimo e invece sono passate ore. Talaltra sembra di aver dormito lungamente
ed invece si è trattato di un breve tempo. La differente valutazione
è dovuta al fatto che nel primo caso si è dormito profondamente,
cioè senza ricordare i sogni fatti; nel secondo, invece, il ricordo
del sogno e più netto del consueto. Tutto ciò ci conferma
che il tempo, oltre ad essere un fattore relativo sul piano della fisicità,
è anche estremamente soggettivo sul piano individuale, cioè
ognuno ha la cognizione del trascorrere del tempo solo in funzione della
successione degli avvenimenti che percepisce, veri o sognati che siano.
Allorché cessa la percezione - comprendo in questo termine anche
la ricezione o il ricordo dei pensieri - cessa l'idea del trascorrere del
tempo ed il sentirsi di esistere scorre senza soluzione di continuità,
saltando a pie' pari la durata degli avvenimenti di cui non si è
avuta percezione proprio perché non v'è durata se non v'è
avvenimento.
In realtà non esiste una storia che con un tempo oggettivo scorra,
distribuendo con la cadenza temporale a ciascuno le proprie esperienze:
ma la storia assume l'aspetto di evento oggettivo proprio per la parte
in comune di tutte le storie individuali che essa rappresenta. E se, nella
serie degli eventi di una situazione cosmica che vede unite dieci persone,
la decima non deve percepire quello che è in comune alle altre nove
(per esempio il paziente di una operazione chirurgica con totale anestesia,
allora tale decima persona non deve attendere che il tempo sia passato
per continuare a sentirsi d'essere e perciò a esistere, ma passa
subito alla sua prossima situazione da percepire, quella in cui gli altri
la vedono destarsi. E non potrebbe essere diversamente da così;
infatti il non sentirsi d'essere equivale a non esistere; perché
la vita è coscienza; l'esistere è coscienza d'essere.
Se mancasse la coscienza d'essere, che nella sua forma
più elementare
è solo sensazione, mancherebbe l'esistenza. D'altra parte, anche
logicamente, si comprende che non sentirsi di esistere equivale al sentirsi
di non esistere; e com'è possibile che si senta di non esistere?
Se non si esiste, non si può sentire; e se si sente vuol dire che
si esiste.
Il sentirsi di esistere va oltre i cambiamenti di umore, oltre i desideri,
oltre i pensieri, pur essendo vero che nella condizione di esistenza umana
è proprio l'attività quale azione, quale emozione che lo
incentiva.
Il sentirsi di esistere, unendo due stati d'essere diversi, dà la garanzia che si tratta di un solo essere.
Ma questa garanzia ha valore
assoluto? Non potrebbe trattarsi del sentirsi di esistere che scivola su
tanti stati d'essere diversi secondo una qualche successione logica?
Senza arrivare a cotanta vastità, a un simile vertice, che è
anche base di tutto, appare chiaramente che il sentirsi d'essere considerato
a prescindere da quelli che chiamate stati d'animo contingenti, a prescindere
dalla personalità che muta, rimane ininterrotto al di là
del mutare della forma fisica. E quindi non è irragionevole credere
che ne sia totalmente svincolato, tanto da sussistere in modo indipendente
da essa quand'essa non è più.
Il sentirsi di esistere è il sentire del quale tanto vi parliamo,
considerato nella sua forma più elementare, più limitata:
è l'atomo del sentire. La massima espressione del sentire, quello
che non conosce limitazioni, è il sentire assoluto.
Quand'è che cade una limitazione? - direte - durante la
vita fisica o dopo?
Nessuno capisce, comprende ed accetta una Verità
se non è pronto, maturo, predisposto. Nella sintesi finale dell'esperienza,
che comprende varie fasi, gioca un ruolo importante la mente individuale;
tuttavia il suggello finale non verrebbe apposto, l'insegnamento dell'esperienza
non diverrebbe « natura acquisita », ad opera della sola mente
se tutto l'individuo, con l'intero suo essere, non l'avesse vissuta. Ciò
che la mente fa nella sintesi finale, che trasforma l'esperienza in natura
acquisita, è una sola parte del processo di rivelazione dell'essere
vero. Premesso questo, vediamo quando avviene la sintesi finale dell'esperienza
che fa cadere la limitazione del sentire, rivelandosi così un sentire
più ampio.
Mi riferirò ad una situazione che ricorre abbastanza frequentemente.
E voi tenete presente che tutte le cadute delle limitazioni del sentire
umano avvengono analogamente.
Questa risoluzione l'individuo la prende, come generalmente tutte le altre, dopo la morte, quando con la maturazione raggiunta alla fine della sua vita rivede e rivive la sua esistenza e trae la conclusione che ho detto e che a lui sembra la più vera. Ha così una vita in cui è dedito ai riti religiosi, ma non con il giusto sentire, bensì solo formalmente, per meritarsi la benevolenza e il premio divino. In questa seconda esperienza - che è anch'essa solo una parte di quella esperienza totale che lo condurrà alla caduta di una limitazione del suo sentire - comprende che Dio non ama più chi lo loda di quanto ami chi lo bestemmia, e che la religiosità non dà, da parte di Dio, alcuna particolare protezione né alcun vantaggio materiale.
Anche questa conclusione, generalmente, la trae dopo il trapasso, quando raggiunta una data maturazione attraverso il vivere rivede la sua trascorsa esistenza e le altre che sono servite a costruire compiutamente l'esperienza totale che produrrà ora la caduta della limitazione del sentire. Questo rivedere, con la maturazione raggiunta da ultimo, dà il senso compiuto all'intero contesto esperito ed è il suggello finale della trasformazione in propria natura di quell'insegnamento che l'esperienza doveva donare. Nel caso particolare la sua avidità perde l'eccesso; cioè egli sarà ancora avido, perché perseguirà ancora il suo vantaggio personale, ma non al punto da condizionare, da subordinare totalmente la sua esistenza. In pari tempo inizierà ad esservi in lui, proprio a seguito della caduta di quelle limitazioni del sentire, un primo larvato senso di dovere: cioè farà qualcosa che, secondo le convenzioni, si è tenuti a fare, anche se il farlo non dà alcun particolare tornaconto.
Liberato
cosi dalla limitazione, il sentire rivelato si unisce agli altri sentire
che gli sono equipollenti, anch'essi a seguito di analogo processo, costituendo
in tal modo un sentire nuovo, un essere nuovo che, manifestandosi nel mondo
fisico, incontrerà una serie di altre esperienze che condurranno
ad altre liberazioni, ad altre comunioni, ad altre manifestazioni.
Poiché niente, in assoluto, tuttavia trascorre e sparisce, nella
profondità e nella vastità dell'essere di ciascuno di voi
sussistono tutte le personalità, tutte le esistenze degli individui
che hanno concorso alla costituzione del sentire che state manifestando.
Questo sentire attuale contiene in sé, per ampiezza, tutti i sentire
costituenti, anche se non vi dà il ricordo storico e cronologico
degli eventi connessi a quei sentire, a quelle esistenze trascorse.
Tale ricordo può tuttavia essere suscitato. Più volte
abbiamo ripetuto che la consapevolezza dell'uomo non contiene tutta la
sua coscienza, il suo sentire. Ma ciò non significa che il suo attuale
sentire sia qualcosa di staccato, lontano, sublime, raggiungibile con sforzo.
La spiegazione della nostra affermazione sta nel fatto che il vostro sentire
di uomini si manifesta solo come risposta agli stimoli ambientali; perciò
se la vita non vi sottopone a certi stimoli non avete consapevolezza di
come sentireste in quella particolare situazione. Non vale infatti immaginare
cosa sentireste e come vi comportereste in una certa evenienza, in una
data occasione; teoricamente si possono dire tante cose, ma poi, all'atto
pratico, ci si comporta diversamente proprio per la ragione che solo allora,
quando la vita presenta il suo stimolo, il sentire si manifesta; o meglio,
allora l'individuo agisce come veramente sente.
Quando invece il sentire è più ampio, allora fluisce
liberamente e non solo quale risposta agli stimoli esistenziali.
Taluno di voi, sporadicamente, ha sperimentato attimi di intensa esistenza, quando si comincia a sentire di far parte di un tutto e si sente un trasporto, uno slancio di amore verso tutto quanto esiste. Sono rari momenti e, per quanto intensi possano sembrare, non sono che l'ombra di quella piena beatitudine che è caratteristica naturale dell'esistenza che attende l'uomo: l'esistenza del superuomo. Per bene intendere il concetto, da un tale progressivo liberarsi, aggregarsi, ampliarsi del sentire, va tolta ogni propensione concettuale della realtà in divenire. Tutto è, niente trascorre: tutto si rivela a se stesso, tutto afferma la sua esistenza nell'istante di un tempo che non esiste, in un punto dello spazio illusorio. Tutto si
manifesta per un solo attimo che in sé è eterno: in quell'attimo è l'eternità.
Perché mai contate le ore, i giorni, gli anni? Il sentirsi di
esistere non conosce fine, anzi è eterno, perché è
al di là del tempo. Stolti, che vi fermate e volete immobilizzare
il caleidoscopio delle forme che esistono proprio in forza della loro stessa
variabilità, della loro stessa caducità. Che cosa volete
fermare? La forma delle nubi? Che cosa volete imprigionare? Il pensiero?
Non vi fermate all'esteriore, a ciò che appare. Non desiderate di
godere per sempre del profumo del fiore, ma siate ciò che fa fiorire
e profumare.
KEMPIS |