LA PREPARAZIONE
Nel 1975, quando per la prima volta sentii parlare del Cerchio Firenze 77 ed
ebbi modo di leggere alcuni messaggi, avevo già alle spalle alcune esperienze e
varie letture di esoterismo e spiritismo in particolare, avevo già una mia
filosofia ben precisa a cui credevo fermamente e a cui mi appoggiavo come la
migliore e come quella che ritenevo più giusta.
Quindi cercavo conferme e chiarificazioni, non mai nuove rivelazioni.
Un incontro fortuito mi fece conoscere alcuni amici del Cerchio Firenze 77 che
mi introdussero gradatamente a quelle riunioni di discussione in cui si
commentava la seduta precedente e si sviluppavano nuove domande e riflessioni.
Quello che sentivo mi confuse e, devo dirlo, mi fece entrare in crisi con me
stesso, perché quel modo di discutere e le cose che leggevo, non solo
modificavano le verità che attraverso vari altri illustri medium, erano state
date all’uomo, ma capovolgevano completamente tutti quei valori dell’io intesi
all’acquisizione, alla gratificazione e all’espansione di sé stessi.
Certamente parlo per me, di ciò che credevo una morale e un’etica facile e ben
definibile, raggiungibile e gratificante; parlo di questo e altro ancora che,
con quelle letture, veniva messo in dubbio.
Mi sono ritrovato così a cercare di capire la realtà del divenire che non era
più tale, la verità di un Dio che diventava raggiungibile nella sua infinità, la
caducità di un io che è l’unica fonte dei nostri dolori, ma è anche l’unico
mezzo per capirli e lasciarli.
A guidarmi è stata quella sottile trama che, a volta nascosta, a volte violenta,
lega tutto un modo di pensare nuovo e responsabilizzante, l’importanza della
consapevolezza di ogni nostro singolo atto, il “conosci te stesso” di Claudio
che però è anche implicito nel parlare delle altre Guide; base di tutta una
nuova morale ed etica che non premia nessuno, non gratifica di niente, ma chiede
solo di conoscerci, renderci consapevoli e basta.
A questo indirizzo viene poi accompagnata una spiegazione della realtà coerente,
logica, un’esposizione chiara e senza ambiguità che mette davanti a delle
evidenze che non hanno bisogno di nessuna fede, nessun atteggiamento
necessariamente mistico, ma solo di un po' di buon senso e una sincera volontà
di capire.
Per me era entrare nell’avventura della vita senza più impedimenti. Tutto era ed
è ancora da scoprire, e le persone che mi circondavano, diventavano mondi
misteriosi non più antagonisti, ma veramente “fratelli” nella misura in cui io e
solo io sapevo accettarli.
Tutto questo mi ha dato una nuova rivalutazione della vita e di quel “piano
fisico” che solitamente è relegato a “mondo di prova”, di espiazione o a “valle
di lacrime”.
Non più un’azione volta ad accumulare meriti o altro per un mondo futuro, un
Paradiso o un Aldilà qualsivoglia, ma un vivere “ora”, consapevolmente,
cosciente che ogni momento vissuto nel presente (e solo nel presente) è
veramente valido, prezioso, unico e irripetibile; gioia della vita per la vita.
L'INCONTRO
Così volli scrivere una lettera a Luciana Campani (la sorella di Roberto Setti)
per esprimere le mie perplessità come il mio desiderio di capire meglio quei
dettati che trascendevano ogni luogo comune, sia nella sostanza che nella forma
in cui venivano espressi.
Luciana si dimostrò disponibile e invitò sia me che mia moglie a un incontro di
tutti gli amici del Cerchio Firenze 77 a Ceppeto, dove si svolgevano le sedute.
In quell'occasione non ci fu la seduta, ma conobbi Roberto con cui finalmente
ebbi occasione di parlare ed esprimere tutte le mie perplessità e curiosità. Lui
non mi rispose, se non con poche parole di comprensione ma poi, stranamente (non
lo faceva abitualmente) invitò me e mia moglie Ines a cena a casa sua.
Fu una cena frugale con la presenza anche di Corrado De Cristofaro e la nostra
emozione si sciolse in un'atmosfera di simpatia e cordialità che non mi
aspettavo per quel primo incontro.
Invece la serata si aprì a ben altre sorprese.
Infatti, dopo cena, mia moglie Ines, che era andata in cucina a svuotare il
portacenere, ritornò denunciando, meravigliata, di aver sentito, proprio
nell'altra stanza, un forte profumo di violette.
Vidi che Roberto sorrideva, quasi che se l'aspettasse, e ci disse che era la
presenza di Dali (una delle Guide spirituali) e, quindi, sarebbe stato opportuno
prepararsi per una seduta.
Così facemmo abbassando le luci e tenendoci per mano in un piccolo cerchio
ideale.
Dopo pochi secondi ho sentito il respiro di Roberto che diventava profondo ed
ecco che si presenta Francois con la sua amicizia complice, e poi Dali, con
parole di una dolcezza straordinaria e con il suo profumo di violette che,
questa volta, stava invadendo tutti noi, e quindi la Guida Fisica Michel che ha
chiesto di concentrarci. A quel punto, nel buio, sono apparsi due piccoli punti
luminosi di un colore verde-azzurro che allargandosi hanno illuminato le mani di
Roberto da cui sorgevano, e ancora oltre, fino a formare una massa fluttuante
che ha illuminato tutto l'ambiente in un'atmosfera di aspettativa per qualcosa
che stava succedendo.
Infatti, la Guida Fisica, che presiedeva a quel fenomeno, ha chiesto a Ines di
guardare attentamente perchè in quella massa si stava materializzando qualcosa:
un punto di essa stava diventando sempre più denso e manipolato dalle mani di
Roberto, sembrava prendere una forma netta fino a manifestarsi come un ciondolo
d'argento raffigurante una scarpina.
"Ecco Ines", ho sentito che diceva Michel, "Questa è la scarpina di Cenerentola;
so che ne farai buon uso". Così la mise nelle mani di Ines ancora piena di un
alone luminoso che conservò tutta la serata.
La seduta continuò con un breve saluto di Dali che pose fine a quell'incontro.
Roberto sì svegliò, curioso di quello che era successo e di cui lui non aveva
nessuna consapevolezza nè ricordo.
Questa è stata la mia prima esperienza diretta di quegli incontri, a cui
seguirono altri e altri ancora in cui fui spettatore di fenomeni che
travalicavano ogni esperienza umana e ogni spiegazione scientifica.
Non c'è fede che possa rendere il senso del trascendente che può indurre vedere
una levitazione, una materializzazione, osservare luci che sembravano vivere di
una vita propria, sentire profumi che venivano manifestati anche in successione
senza mischiarsi l'uno con l'altro. Per non parlare delle parole dette dalle
Guide con cui finalmente potevo dialogare.
L’avventura continuava, ed è continuata così oltre sette anni, donandomi in così
poco tempo, così tante cose che non basterà tutta la mia vita per poterle
veramente comprendere.
Questa è la ricchezza più grande che io potessi mai desiderare.
FEDE O CREDENZA
Rifletto come le esperienze avute con il Cerchio Firenze 77, però, hanno solo
consolidato una certezza acquisita con lo studio, l'osservazione e la
riflessione.
Avrei creduto anche solo leggendo ciò che è stato dettato in quelle sedute.
L'esserne protagonista, mi ha confortato ulteriormente, mi ha donato dei momenti
così straordinari che è stato come vivere una favola magica in cui la materia
obbediva a leggi trascendentali e mi mostrava, così, la sua natura spirituale.
Ho creduto perchè ho visto, oppure il vedere ha sollecitato ciò che già credevo?
Forse ambedue le cose. Forse quelle esperienze hanno reso più forte una fede
che, comunque già esisteva e su cui stavo lavorando.
Poi c'era la filosofia, la logica incontrovertibile di quei concetti, il senso
di corrispondenza dei propri pensieri che venivano come "illuminati" da quelle
voci. Insomma, c'era un riconoscimento della verità. Così come continua anche
oggi con l'eco di quelle parole che mi risuona immutato.
Tutto questo è vero, ma mi è impossibile trasmetterlo.
Spero solo che chi ricerca possa avere le stesse opportunità che ho avuto io.
ROBERTO SETTI
Per me Roberto Setti è stato un punto di riferimento importante, e conoscerlo
personalmente mi ha permesso di distinguere l'uomo dal mito; ricordarlo come
amico e non come medium; avere un rapporto che permetteva la parità, e, adesso,
sentirlo vicino in una ricerca che, sono certo, lui prosegue oltre la nostra
dimensione.
Mi ha insegnato la pazienza, e a coltivare lo stupore del bambino, nella
meraviglia di ogni più piccola scoperta; perchè non si deve dare per scontato
niente, e la vita è magia ogni momento, se si sa guardare con gli occhi giusti.
Roberto, nella sua semplicità, mi ha trasmesso questo; e lo tengo stretto come
un dono, grande quanto le parole di un insegnamento che gli apparteneva come
spirito, anche se lo meravigliava come uomo.
Capisco che la figura di una personalità medianica come quella di Roberto Setti,
possa far pensare a lui, come un grande Maestro.
Ma posso assicurare che l'uomo-Roberto era considerato da tutti quelli che lo
hanno frequentato, un amico, un confidente e una persona con tutti i dubbi e i
problemi che accomunano gli individui normali.
Durante le riunioni di discussione, in cui si commentavano i messaggi avuti
nell'ultima seduta, davanti alle affermazioni filosofiche di Kempis o di altre
entità, Roberto si dimostrava perplesso quanto ciascuno di noi ed esprimeva il
suo parere e i suoi dubbi, al pari di tutti gli altri.
Per quanto la mia stima per Roberto sia altissima, per quanto lo abbia ritenuto
una persona saggia, generosa, amica, il termine "Maestro" non gli si addiceva;
non più di quanto si addice a ciascuno di noi, nel momento che trasmettiamo la
nostra esperienza a chi ne ha bisogno nell'intento di aiutarlo.
Era una persona eccezionale per quello che non mostrava, più che per quello che
dimostrava; e lo era specialmente, per la sua riservatezza, in una personalità
che non ha mai voluto plausi o gratificazioni, onori o ringraziamenti, solo la
possibilità di essere uno strumento docile per chi, sopra di lui e di tutti noi,
è oltre ogni definizione di Maestro o insegnante.
Le mie esperienze con l'uomo-Roberto, sono simili a tante altre con degli amici
sinceri: qualche pranzo, qualche cena, due risate in compagnia e, certamente,
tanti dialoghi sull'insegnamento delle Entità in attesa che nella seduta
successiva, potessero essere meglio ampliati e chiariti.
Ringrazio che il suo insegnamento come medium (ma ancora di più come uomo) si
sia espresso in un rapporto di amicizia che non ha visto Maestri e allievi, ma
tutti individui che ricercano e si aiutano vicendevolmente a comprendere quel
miracolo a cui stavamo assistendo.
LA FILOSOFIA DEL CERCHIO FIRENZE 77
A volte mi chiedo quale possa essere il rinnovamento che questa filosofia porta
con sè.
In una comunicazione dei primi anni Dali disse che non è più meritevole colui
che, avendo sete, si ferma alla fonte, rispetto a chi, pur avendo sete, passa
oltre.
Quando lessi per la prima volta questo concetto, ne fui così colpito che ne
scaturì un modo nuovo di interpretare tutta la conoscenza data dalle
comunicazioni, ma anche tutta la “conoscenza” (fra virgolette) in genere. Perché
spesso (istintivamente perlomeno) si confonde il fine con il mezzo, spesso la
conoscenza diventa l’ultimo traguardo, il massimo scopo raggiungibile, il fine,
appunto, e la ragione della vita di molti. Ma non è così. Vorrei dire “non è
così facile purtroppo”, ma anche
“non è così limitata per fortuna la natura dell’uomo”.
Dunque questa conoscenza deve essere ed è solo un mezzo per raggiungere quel
qualcosa che l’uomo cerca da sempre confondendolo spesso con i suoi bisogni più
immediati, velato dalla sua insicurezza e limitato dalla sua immaturità.
Quel “qualcosa” è una parola che spesso ci si vergogna di pronunciare, ma è
l’unica che ci può avvicinare alla verità e è “l’amore”; l’amore tanto
raccomandato, tanto richiesto e mai capito interamente ma che necessariamente
deve legare l’uomo ai suoi simili e al mondo che lo circonda.
L’amore come unione dunque, come sentire che ogni “altro” fa parte del proprio
destino e della propria vita; l’amore non solo come sentimento, ma come
coscienza di vita, rapporto con l’evento, annullamento di ogni dualità e
contrasto.
E non sono né le religioni né le scienze né le leggi che possono donare all’uomo
questa che è una natura intima conquistabile solo individualmente e
gradatamente. Possono però le religioni, le scienze, le leggi indirizzare
l’uomo, questo sì. Ed è questo che hanno fatto in tanti anni le guide del
Cerchio: hanno stimolato, indirizzato, chiarito e risposto a chi, insicuro,
dubbioso, stanco o tormentato, ha avuto questa necessità, questo bisogno, e le
loro parole, trascritte o registrate, continuano a farlo, anche se
indirettamente. Ma lo fanno solo per chi si è voluto e si vuole fermare ad
ascoltarle; non è questo un merito, ma una necessità, perché questa conoscenza
non è un fine ma un mezzo per proseguire, ed è un mezzo che può essere adatto
all’uno e inadatto all’altro.
Ecco perché non possiamo né vogliamo creare una sorta di dottrina, religione o
fare del proselitismo.
I libri sono stati dettati e pubblicati. Sono solo parole, un romanzo per chi
vuole sognare, una favola per bambini diventati adulti e che altro? Per ognuno
certo qualcosa di diverso e per ognuno certo solo quello di cui ha bisogno.
Solo questo è importante ed è anche il fine per cui sono stati dettati.
All’inizio ho detto che noi riteniamo nuovo ciò che ci è stato detto; ma, a
parte una concezione filosofica che può essere anche non condivisa, il nuovo
secondo me, sta nell’abbattimento di ogni sacralità costituita e nello stesso
tempo, nell’elevazione a sacralità di tutti gli eventi e i sistemi, di tutte le
cose e le creature.
Qui cadono tutti gli idoli, ma anche il privilegio e il settarismo, come cadono
tutti i dogmi e i tabù, ma anche il ristagno e le paure.
Tutto sembra crollare di quel perbenismo consacrato e idealizzato per pacificare
la coscienza, forse, ma forse di più per riempire il vuoto di coscienza di un
uomo che non si è ancora trovato.
E’ il silenzio e la solitudine di chi è solo con se stesso. Può fare paura; ma
solo così, poi, può nascere quel rinnovamento del divino nell’uomo che però non
è più un rapporto gerarchico, ma “sentire” che è dell’”essere”, che è dell’uomo
che vive la sua natura riconoscendola divina, dell’uomo che non cerca né pone
Dio lontano da lui, né lo veste delle sue consuetudini, ma lo sente al di là del
pensiero e della forma.
Chi può dunque dire : “Tu devi credere questo”?, se in questo nuovo pensiero non
esiste più il “credere”, ma solo una vita che “sentita” può dare il segno della
propria verità?
Certo le parole indicano, spiegano e schematizzano, ma poi tutto questo viene
annullato perché ognuno ne trovi il significato secondo, perché ognuno abbia la
forza di andare oltre esse e ne sappia capire l’essenza, lo spirito.
In fondo noi non abbiamo niente da dire, ma solo una vita da vivere e da
comunicare.
Inoltre, sicuramente questo insegnamento è un messaggio di speranza.
Però vanno fatte delle precisazioni.
Se è solo una speranza che si cerca, allora forse ci sono messaggi ben più
vicini al cuore delle persone che sentono questa esigenza.
Vi sono sistemi religiosi, dottrine spiritiche, movimenti New Age, che possono
infondere molta più speranza, piuttosto che un filosofia trascendentale, la
quale ci dice che dovremo morire veramente al nostro io, che non esiste nessun
mondo spirituale che ci attende, diverso da quello che noi stessi stiamo
costruendo; che ci responsabilizza, come nessun'altra filosofia aveva fatto,
fino alle estreme conseguenze di dichiararci che siamo i soli costruttori e
creatori della realtà che ci circonda.
E' una speranza che si basa su una verità che non ci appartiene, ma che ci viene
indicata oltre i nostri bisogni di oggi ed esige che si vada oltre ciò che siamo
in grado di pensare.
Se siamo in grado di cogliere questa speranza, allora questo messaggio lo è.
Ma non credo che sia una consolazione per un momento di dolore o per le miserie
del mondo, in quanto c'è scritto che non c'è nessuna miseria nè ingiustizia, che
tutto è perfetto per come si svolge.
Capisco che questo non lo si può dire a chi muore di fame; nè lo si può dire a
chi ha perso i suoi famigliari in atti di violenza, guerra, omicidi di massa.
Queste persone hanno bisogno di un altro genere di speranza che non sia una
filosofia di questo tipo.
Vi sono momenti in cui si deve lottare per la vita, e altri in cui una calma
esteriore ci permette di guardarci dentro e riflettere.
Vi sono speranze per l'una cosa e per l'altra, ma sono molto diverse e vanno
colte per ciò che ci dice il cuore.
D'altra parte, come dice Kempis, la verità (per quanto sia diversa da quella che
possiamo immaginare), di per se stessa è "speranza".
Allora, secondo me, donare speranza, non è tanto un insegnamento, quanto ciò che
questo insegnamento ha smosso in noi in termini di comprensione e certezza
interiore.
Donare speranza vuol dire parlare il linguaggio delle persone a cui ci
rivolgiamo trasmettendogli la nostra sicurezza e serenità, come la nostra
solidarietà e comprensione.
Le parole dei Maestri possono essere solo "risposte", non soluzioni.
Il problema è: chi di noi ha le domande giuste a cui si adattano queste
risposte?
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