Cos'è l'ispirazione, non solo degli artisti e dei pensatori?
 

 

L'ispirazione non è che un momento di particolare tensione interiore. L'artista lo sente e dice: "In questo momento mi manca l'ispirazione",intendendo appunto che gli manca quel particolare stato interiore, quella particolare tensione in forza della quale l'artista, come si dice, crea. Quando questo stato interiore manca, l'artista è un uomo come gli altri, non è un'artista, è un uomo comune, e allora non crea.

Questa tensione, generalmente non è costante, proprio perchè è difficilissimo raggiungerla nel proprio intimo. La si può' facilitare mediante opportune tecniche, ma in genere l'artista non conosce queste tecniche e allora deve starsene a quanto gli viene naturalmente. E viene naturalmente quando ha avuto un periodo esattamente opposto. 

 

Voi sapete dei famosi cicli, che esistono anche nell'intimo di ogni uomo: ad un determinato ciclo, per esempio di depressione, può' seguire un ciclo di euforia, o viceversa. Così a un periodo di stati creativa, può seguire un periodo di creatività; ed è allora che l'artista sente di avere tutta la sua vena creativa, è preso da una sorta di febbre e cerca di tradurre l'ispirazione in atto, prima che sia possibile, prima che gli passi e non l'abbia più. L'artista, per esempio lo scrittore, sa benissimo che l'ispirazione gli può dettare delle idee meravigliose, ma, se lascia passare il tempo, quelle idee non lo soddisfano più, rimangono fredde , non gli dicono più niente. Non è quindi, solo una questione di idee, di progetto, di che cosa fare, ma è proprio questione di tradurre tutto questo in atto.

Se fosse semplicemente questione di idee, l'artista potrebbe inviare al giorno successivo, perchè ormai l'idea l'ha avuta. E invece non è così, perchè è qualcosa di più che l'idea. L'idea, diciamo, è il substrato, a cui si aggiunge proprio la realizzazione pratica. Ed è la traduzione di quell'idea in concretezza ciò in cui consiste la vera opera d'arte. 

L'idea può essere geniale in sè, ma se non è tradotta praticamente, in quel certo modo, non è un'opera d'arte; ed è proprio questa traduzione che viene sempre e soltanto nel periodo di ispirazione.

 

Quindi l'ispirazione è qualcosa che va oltre il corpo mentale.

Qualcosa che avvolge tutto l'individuo e che riguarda proprio il suo sentire; e non riguarda solo il sentire ma anche la possibilità di tradurre visibilmente, in maniera percettibile agli altri, questo sentire. E questo vale non solo per l'arte e per l'artista, ma per ogni forma di intuizione e per ognuno che abbia quella intuizione che deve poi essere tradotta in atto.

L'attore, che deve entrare nello stato d'animo di personaggi anche diversissimi da lui, esprime forse un suo grado di coscienza?

E' chiaro che l'immedesimazione riguarda il sentire in senso lato. 

 

Un certo sentire di coscienza uno ce l'ha e non ce l'ha; non lo si può nè aumentare nè diminuire. Parliamo allora del sentire in senso lato; l'attore può, immedesimandosi in una parte, provare ad esempio l'odio, per poterlo meglio esprimere; o, esprimendolo, sentirlo proprio dentro di sè. Perchè questo? Perchè l'abilità dell'attore è una specie di, chiamamola, medianità: è cioè la possibilità di ricostruire in sè questo sentire in senso lato che normalmente l'uomo prova quando è in una situazione vera, non simulata, e quando entra in gioco anche  la parte di coscienza costituita che ha. 

 

Un uomo che ha una certa coscienza posto in una data situazione, può avvertire le avvisaglie dell'odio, può avere anche quel certo risentimento che è l'odio, perï la sua coscienza, se l'ha costituita, a un certo punto lo frena e lo riconduce a uno stato d'animo che più gli si addice, che più si confà alla sua evoluzione. Mentre cosa farebbe l'attore anche se fosse estramamente evoluto, quando è sulla scena? 

Il suo senso dell'odio scapperebbe fuori da tutti i pori della sua pelle e il suo sentire di coscienza non interverrebbe, proprio perchè dentro di sè, egli comprenderebbe che è una finzione scenica, per cui si troverebbe a odiare sulla scena molto più di quanto sarebbe capace di fare nella vita reale. E questo proprio per una abilità dell'attore, per una sorta di medianità: quella di immedesimarsi in un personaggio e viverlo, di vivere il personaggio come riesce a capire che sia, o  che debba essere; e questo indipendentemente dalla sua personale evoluzione.

 

Non credi di scandalizzare nessuno facendo questo esempio: se sulla scena un personaggio che debba odiare, odierebbe moltissimo; in che modo? 

Unicamente, lasciando i suoi veicoli (mentale, astrale e fisico, per quel che occorre) liberi, disimpegnati dal suo sentire di coscienza. Perchè, dove sta l'odio nell'uomo!, se è di odio che in questo momento dobbiamo paralare, per capire: l'odio sta proprio nei veicoli grossolani, nel sentire in senso lato. E poi - io dico ancora una volta - il sentire di coscienza che, se c'è, governa, trattiene, stempera, riabbassa l'odio e il risentimento. Quindi, basta lasciare andare liberi i veicoli inferiori ed ecco l'odio, il risentimento, eccetera. 

Quando questo fosse possibile, immediatamente la coscienza sospenderebbe la sua funzione di controllo, e apparentemente quell'essere sembrerebbe tornato indietro nell'evoluzione.

E quindi proprio una abilità, un talento dell'attore quello di poter far vivere o rivivere un personaggio indipendetemente dalla sua evoluzione, dell'evoluzione dell'attore, intendo; il talento di poter scindere il suo sentire di coscienza dal governo che a suoi veicoli e quindi ricreare, rimanifestare un sentire in senso lato che l'attore, come persona, normalmente non avrebbe mai, perchè la sua evoluzione glielo impedirebbe.

Tutto questo parlando di un attore evoluto, naturalmente.