L'ispirazione non è che un momento di particolare tensione
interiore. L'artista lo sente e dice: "In questo momento mi
manca l'ispirazione",intendendo appunto che gli manca quel
particolare stato interiore, quella particolare tensione in
forza della quale l'artista, come si dice, crea. Quando questo
stato interiore manca, l'artista è un uomo come gli altri, non è
un'artista, è un uomo comune, e allora non crea.
Questa tensione, generalmente non è costante, proprio perchè è
difficilissimo raggiungerla nel proprio intimo. La si può'
facilitare mediante opportune tecniche, ma in genere l'artista
non conosce queste tecniche e allora deve starsene a quanto gli
viene naturalmente. E viene naturalmente quando ha avuto un
periodo esattamente opposto.
Voi sapete dei famosi cicli, che esistono anche nell'intimo di
ogni uomo: ad un determinato ciclo, per esempio di depressione,
può' seguire un ciclo di euforia, o viceversa. Così a un periodo
di stati creativa, può seguire un periodo di creatività; ed è
allora che l'artista sente di avere tutta la sua vena creativa,
è preso da una sorta di febbre e cerca di tradurre l'ispirazione
in atto, prima che sia possibile, prima che gli passi e non
l'abbia più. L'artista, per esempio lo scrittore, sa benissimo
che l'ispirazione gli può dettare delle idee meravigliose, ma,
se lascia passare il tempo, quelle idee non lo soddisfano più,
rimangono fredde , non gli dicono più niente. Non è quindi, solo
una questione di idee, di progetto, di che cosa fare, ma è
proprio questione di tradurre tutto questo in atto.
Se
fosse semplicemente questione di idee, l'artista potrebbe
inviare al giorno successivo, perchè ormai l'idea l'ha avuta. E
invece non è così, perchè è qualcosa di più che l'idea. L'idea,
diciamo, è il substrato, a cui si aggiunge proprio la
realizzazione pratica. Ed è la traduzione di quell'idea in
concretezza ciò in cui consiste la vera opera d'arte.
L'idea può essere geniale in sè, ma se non è tradotta
praticamente, in quel certo modo, non è un'opera d'arte; ed è
proprio questa traduzione che viene sempre e soltanto nel
periodo di ispirazione.
Quindi l'ispirazione è qualcosa che va oltre il corpo mentale.
Qualcosa che avvolge tutto l'individuo e che riguarda proprio il
suo sentire; e non riguarda solo il sentire ma anche la
possibilità di tradurre visibilmente, in maniera percettibile
agli altri, questo sentire. E questo vale non solo per l'arte e
per l'artista, ma per ogni forma di intuizione e per ognuno che
abbia quella intuizione che deve poi essere tradotta in atto.
L'attore, che deve entrare nello stato d'animo di personaggi
anche diversissimi da lui, esprime forse un suo grado di
coscienza?
E'
chiaro che l'immedesimazione riguarda il sentire in senso lato.
Un
certo sentire di coscienza uno ce l'ha e non ce l'ha; non lo si
può nè aumentare nè diminuire. Parliamo allora del sentire in
senso lato; l'attore può, immedesimandosi in una parte, provare
ad esempio l'odio, per poterlo meglio esprimere; o,
esprimendolo, sentirlo proprio dentro di sè. Perchè questo?
Perchè l'abilità dell'attore è una specie di, chiamamola,
medianità: è cioè la possibilità di ricostruire in sè questo
sentire in senso lato che normalmente l'uomo prova quando è in
una situazione vera, non simulata, e quando entra in gioco
anche la parte di coscienza costituita che ha.
Un
uomo che ha una certa coscienza posto in una data situazione,
può avvertire le avvisaglie dell'odio, può avere anche quel
certo risentimento che è l'odio, perï la sua coscienza, se l'ha
costituita, a un certo punto lo frena e lo riconduce a uno stato
d'animo che più gli si addice, che più si confà alla sua
evoluzione. Mentre cosa farebbe l'attore anche se fosse
estramamente evoluto, quando è sulla scena?
Il
suo senso dell'odio scapperebbe fuori da tutti i pori della sua
pelle e il suo sentire di coscienza non interverrebbe,
proprio perchè dentro di sè, egli comprenderebbe che è una
finzione scenica, per cui si troverebbe a odiare sulla scena
molto più di quanto sarebbe capace di fare nella vita reale. E
questo proprio per una abilità dell'attore, per una sorta di
medianità: quella di immedesimarsi in un personaggio e viverlo,
di vivere il personaggio come riesce a capire che sia, o che
debba essere; e questo indipendentemente dalla sua personale
evoluzione.
Non credi di scandalizzare nessuno facendo questo esempio: se
sulla scena un personaggio che debba odiare, odierebbe
moltissimo; in che modo?
Unicamente, lasciando i suoi veicoli (mentale, astrale e fisico,
per quel che occorre) liberi, disimpegnati dal suo sentire di
coscienza. Perchè, dove sta l'odio nell'uomo!, se è di odio che
in questo momento dobbiamo paralare, per capire: l'odio sta
proprio nei veicoli grossolani, nel sentire in senso lato. E poi
- io dico ancora una volta - il sentire di coscienza che, se
c'è, governa, trattiene, stempera, riabbassa l'odio e il
risentimento. Quindi, basta lasciare andare liberi i veicoli
inferiori ed ecco l'odio, il risentimento, eccetera.
Quando questo fosse possibile, immediatamente la coscienza
sospenderebbe la sua funzione di controllo, e apparentemente
quell'essere sembrerebbe tornato indietro nell'evoluzione.
E
quindi proprio una abilità, un talento dell'attore quello di
poter far vivere o rivivere un personaggio indipendetemente
dalla sua evoluzione, dell'evoluzione dell'attore, intendo; il
talento di poter scindere il suo sentire di coscienza dal
governo che a suoi veicoli e quindi ricreare, rimanifestare un
sentire in senso lato che l'attore, come persona, normalmente
non avrebbe mai, perchè la sua evoluzione glielo impedirebbe.
Tutto questo parlando di un attore evoluto, naturalmente.
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