Il tuo essere e il tuo mondo si
identificano, e questa è la realtà più
giusta, pur non essendo ancora la realtà
vera, oggettiva. Ma questa identificazione è
una realtà più prossima a quella oggettiva
rispetto alla realtà che l'uomo osserva e
desume dalla sue osservazioni, e secondo la
quale esiste un mondo oggettivo - di cui lui
vede una parte - e indipendente da coloro
che lo osservano.
Questo è il concetto che l'uomo ha della
realtà: un concetto suffragato dalle sue
osservazioni.
Per esempio, se io sposto fisicamente un
oggetto, questo oggetto è visto spostato
dagli altri e ciò mi dà la misura di come
esso esista indipendetemente da me che lo
osservo, proprio in quanto è visto anche da
altri.
C'è poi un altro errore: se io posso
fotografare un oggetto, quell'oggetto
fotografato non esiste solo per coloro che
hanno gli occhi, ma esiste anche per le
macchine che hanno dei sensori simili in
qualche modo agli occhi, che ne sono il
prolungamento.
L'uomo è quindi, in base a questi
ragionamenti, legittimato ad avere un tale
concetto della realtà. Però questi
ragionamenti, se si va in profondità, si
scopre che sono sì logici, ma partono da
presupposti errati, e quindi errata è anche
la conclusione.
Infatti, anzichè pensare che l'ambiente che
si crede oggettivo lo sia perchè così è
visto da tutti, si può pensare che così è
visto da tutti perchè tutti hanno gli stessi
sensi, gli stessi percettori, gli stessi
sensori. Si può supporre allora che la
realtà sia ben diversa e che appaia in un
certo modo oggettiva a tutti coloro che
hanno gli stessi mezzi di indagine di quella
realtà.
Non solo: il fatto che questa realtà sia
sondabile, fotografabile da certe macchine
create dall'uomo, non significa ancora che
sia oggettiva, perchè queste macchine sono
state create a immagine e somiglianza dei
sensi e per i sensi dell'uomo, e quindi non
traggono dall'errore, chiamiamolo così, di
percezione che i sensi creano.
Allora, possiamo solo rifarci al
ragionamento, al concetto astratto, ed
ipotizzare una realtà; poi vedere se con la
logica è possibile e in qualche maniera
sostenibile questo concetto, cioè che la
realtà sia ben diversa da quella che si
concepisce affidandosi unicamente si sensi
del corpo fisico; e vedere se è possibile,
secondo questo concetto, che la realtà ci
appaia come ci appare solo perchè abbiamo un
certo tipo di sensi; mentre, se avessimo un
altro tipo di sensi, o altri sensi in
aggiunta a quelli di cui il nostro corpo
fisico è dotato, la realtà assumerebbe un
aspetto del tutto diverso, un aspetto
talmente diverso che sarebbe irriconoscibile
a quelli stessi che sono abituati ad
osservarla con i cinque sensi del corpo
fisico.
Questo può far ragionevolmente accettare che
la realtà oggettiva non sia come l'uomo
crede, ma sia veramente molto diversa.
Allora, quando si dice che è il tuo sentire
a creare l'ambiente, grazie alle limitazioni
costituite dai cinque sensi, dobbiamo fare
una piccola precisazione: diciamo che il tuo
stato di coscienza, chiamiamolo
fondamentale, ti fa appartenere ad una
specie, la specie umana, e quindi ti fa
avere un certo corpo, il quale ha certi
sensi, ed avere certi sensi significa
creare, vedere, percepire un certo ambiente,
analogo, molto simile, per tutti coloro che
hanno gli stessi sensi.
Ma se anzichè avere un tipo di coscienza,
basilare, di specie umana, tu lo avessi
invece, che so, simile a quella animale o
vegetale, con sensi diversi, la realtà che
percepiresti sarebbe ben diversa da quella
umana.
Nello stesso ambito della realtà umana, del
mondo che tu percepisci, c'è una visione di
base comune a tutti gli uomini, al santo
come al selvaggio, a tutti gli uomini
compresi tra il selvaggio (l'uomo primitivo
in senso spirituale) ed il santo (l'essere
molto evoluto spiritualmente).
Tutti gli uomini che sono compresi entro
questa gamma vedono lo stesso ambiente di
base, salvo poi introdurre tutte quelle
varianti che sono proprie del grado di
sentire di ciascuno. Perchè il santo,
ovviamente, rappresenta un grado di sentire
di tipo umano, o di specie umana, ben
differente dal grado di sentire del
selvaggio, il quale è sempre di specie
umana, ma diverso proprio individualmente
come ampiezza di sentire. Allora, se si
raffronta il sentire che crea il mondo del
selvaggio al sentire che crea il mondo del
santo, si trova lo stesso ambiente fisico
perchè entrambi hanno i cinque sensi
analoghi; però, in questo ambiente di base
simile, sono dall'uno e dall'altro
introdotte tutte quelle varianti proprie del
sentire di coscienza diverso che essi hanno.
Si può obbiettare che non è esatto dire che
è il sentire a creare, a enucleare un
ambiente: purtroppo, però, sono concetti che
si possono esprimere malamente con parole
umane. Enucleare non è esatto, in quanto
sembrerebbe che l'ambiente esistesse
oggettivamente insieme a tanti altri
ambienti, e che i sensi tirassero fuori solo
quello e non facessero vedere gli altri;
mentre non è così, perchè la sostanza che
cade sotto i sensi dell'uomo in se stessa è
sostanza divina indiversificata, omogenea,
che non ha oggettivamente nessuna forma, ma
acquista forma sotto l'osservazione dei
sensi. Semmai, è un enucleare una parte di
questa sostanza, la quale, proprio perchè
"parte", assume delle forme, le forme del
piano fisico che vi sono ben note, con tutte
le leggi, tutti gli attributi che sono
studiati dalla fisica, dalla chimica, dalle
scienze naturali e così via.
E se non è esatto il termine "enucleare",
non lo è neppure il termine "creare", perchè
in effetti non è una creazione dal nulla, è
vero? Ma nel parlarvi noi dobbiamo servirci
di questi simboli umani che sono le parole,
e sta poi a voi cercare di andare oltre il
significato delle parole, dei termini, per
capire il concetto. certo non è facile, ma
noi confidiamo nella vostra buona volontà.
In che modo il sentire
crea i mondi della percezione.
Nell'enunciazione del loro insegnamento, in
un primo momento, i maestri hanno fatto
l'esempio dei fotogrammi, mediante il quale
si diceva che tutto esiste già in uno stato
di eterno presente e di infinita presenza,
mentre sono gli esseri che, nei piani della
percezione, percepiscono in successione
questo eterno presente.
E poteva sembrare che questo "tutto esiste
già" desse al cosmo, a tutto quanto esiste,
un aspetto oggettivo. Mentre poi,
approfondendo l'insegnamento del sentire, i
maestri hanno detto che "tutto è sentire":
anche quello che l'uomo sente non è che
creazione del suo sentire, estrinsecazione
del suo sentire.
Questo sembra demolire quella oggettività
del cosmo, di tutto quanto esiste, che
consegue dall'esempio dei fotogrammi. Ma
questo punto dell'insegnamento è proprio per
far capire come queste due cose siano
entrambe vere.
La vostra domanda è: "Come può il sentire
creare il cosmo, questo cosmo così perfetto,
quando è un sentire relativo?".
Il discorso da intendere bene è quello dei
sensi. Poniamoci dalla parte del divenire:
questo mondo che voi vedete, con tutte le
sue forme, non esiste oggettivamente. Che
cosa significa? Significa che, se non vi
fosse nessuno a percepirlo, questo mondo non
esisterebbe così come lo percepite, perchè,
come voi lo vedete, esiste solo per voi, non
esiste al di fuori della vostra percezione.
Questa affermazione ci porta subito a
domandarci: "Ma allora, è tutto un sogno? Se
non esiste niente al di fuori della
percezione degli esseri, è tutto un sogno? e
come è possibile avere, ne sogni, dei punti
di contatto?".
A questo si potrebbe rispondere dicendo che
a sentire relativi corrispondono sogni
analoghi, per cui sogni analoghi hanno punti
di contatto, e quei punti di contatto
potrebbero essere queste parvenze di
oggettività che ha il mondo fisico, il mondo
che l'uomo vede e percepisce. Ma non è
ancora così. Cercherò di spiegarmi meglio.
L'essere è un centro di coscienza e di
espressione, e di sensibilità e di
espressione; l'essere è un sensore, qualcosa
che riceve e anche qualcosa che trasmette,
che esprime; inoltre l'essere è un essere
relativo, perchè di assoluto ce n'è uno
solo, ed è Dio. Per il fatto di essere
relativo, l'essere è limitato, e quindi sono
limitate anche le sue percezioni, le sue
possibilità di captare ciò che egli è e
anche ciò che egli non è, il suo non-essere,
e queste possibilità di captare debbono
derivare da qualcosa, si fondano su
qualcosa: questo qualcosa sono i famosi
sensi, che sono proprio l'espressione della
limitazione dell'essere "uomo".
Adesso, pensiamo che l'essere sia tutto
concentrato nell'uomo incarnato. Allora,
l'uomo incarnato ha dei sensi che gli fanno
cogliere un certo ambiente a lui - egli
crede- esterno.
Quest'affermazione, secondo la quale
l'ambiente è creato dalle percezioni
dell'essere, non ha la portata di un totale
sogno: questa creazione, infatti, non è un
totale sogno perchè ciò che l'essere
percepisce è la sostanza stessa della quale
è costituito Dio; è la divina sostanza
indiversificata. La quale divina sostanza,
proprio per sua natura, per sua struttura,
nel momento in cui viene percepita, colta
attraverso delle limitazioni, che nel nostro
caso sono i cinque sensi dell'uomo, assume
un aspetto che in realtà non ha. E questo
significa che non è tutto sognato,
nell'accezione pura del termine.
Che cosa vuol dire? Vuol dire vedere,
percepire, delle materie, delle forme, dei
colori che non esistono oggettivamente, ma
che sono il frutto della limitazione con la
quale la materia divina indifferenziata è
colta.
Ora voi potete obiettare: "Ma perchè la
realtà è lo stato di materia indifferenziata
e non è invece quello stato che l'uomo
coglie attraverso i suoi cinque sensi?".
L'obiezione può, cioè, essere questa: "La
realtà è quella che l'uomo vede e
percepisce; l'altra è un'altra cosa, non è
la realtà". Ma cos'è la realtà?
La realtà è la vera qualità e condizione
delle cose. E questa vera qualità e
condizione delle cose è certamente quella
che si presenta in uno stato di totalità,
non in uno stato relativo, parziale,
limitato.
Se di una storia conoscete solo una fase, un
tempo, non potreste dire di conoscere la
verità di quella storia; la quale verità è
quella che risulta da tutta la storia, e non
quella che viene saputa parzialmente,
particolarmente, relativamente.
Quindi la vera qualità, condizione e stato
delle cose risulta dalla totalità; e nella
totalità, nella condizione assoluta, la
sostanza divina è indiversificata. Quella è
la vera realtà. L'altra, quella parziale,
quella che riguarda solo una fase, una
parte, quale è quella che l'uomo percepisce
attraverso la limitazione dei suoi sensi,
non può essere la realtà vera; è una realtà
relativa; relativa, appunto, si suoi sensi.
Allora, il fatto che l'uomo ha questa
percezione limitata lo conduce a trasformare
la sostanza indiversificata in un ambiente,
e non in un suo sogno.
Supponiamo - per fare un esempio pedestre -
che voi siate in un oceano, dove vi siano
moltissimi pesci, di tutte le qualità,
talmente tanti che chi li guarda non ne vede
nessuno. Ecco: nel momento in cui mettete
certi occhiali speciali voi vedete, per
esempio, solo le sardine, mentre tutti gli
altri pesci spariscono. Così è la percezione
attraverso i sensi del corpo fisico
dell'uomo.
Voi vedete, cogliete questo ambiente, il
quale non è che una parte della sostanza
divina indiversificata; questa solo è reale,
perfetta, totale. Qualsiasi parte della
realtà totale non può essere la realtà
assoluta, la realtà totale, la realtà vera,
e sarà perciò sempre una realtà relativa.
In che senso - voi
direte - è l'essere, è il sentire che,
attraverso la limitazione costituita dai
sensi, crea-percepisce il mondo?
Se non aveste la limitazione dei sensi, voi
non vedreste e percepireste niente. Detto
per assurdo: voi vedreste la materia divina
indifferenziata. E quindi si tratta di una
creazione che vi viene attraverso la
limitazione dei sensi mentali: per tutti i
mondi della percezione.
Quello che l'uomo crea, lo crea per mezzo
delle sue limitazioni e lo estrapola, lo
tira fuori dalla divina sostanza
indiversificata. Ma quello che coglie non è
il vero aspetto della realtà: quello,
ripeto, è l'aspetto che scaturisce
percependo limitatamente la sostanza divina
indiversificata.
Egli vede, diciamo, la porzione che gli
spetta; ma crea con questo vedere e
percepire, un ambiente, il quale ambiente
non esiste se togliete la limitazione dei
sensi, cioè le limitazioni dell'ente
percepente; non esiste in sè.
Ora, bisogna fare attenzione al discorso
che, se non ci fossero le limitazioni dei
sensi, questo ambiente non esisterebbe, non
sarebbe estrapolato e tirato fuori. Infatti,
che cosa succede oltre a questo discorso
generale?
Succede che su questo ambiente creato dalla
percezione limitata si instaurano, si
sovrappongono quelle che sono le creazioni
veramente e propriamente soggettive
dell'individuo: quelli che si sono chiamati
fantasmi della mente, dovuti al carattere e
alle diverse interpretazioni personali, e
voi sapete quanto ciascuno sia portato a
interpretare i fatti secondo le proprie
convinzioni o secondo i propri gusti, o
desideri, o pensieri. E questo è un mondo
totalmente soggettivo, direi.
Anche l'altro, però, che voi vedete e
credete concreto, non è oggettivo: perchè -
i maestri me lo consentano - se si
togliessero tutti gli uomini, anzi tutti gli
enti percepenti, di questo mondo non
resterebbe niente. Questo mondo, infatti,
scappa fuori, si crea solo per coloro che
hanno i cinque sensi e che possono in virtù
di questa limitazione comune, in un certo
senso trarlo, enuclearlo, dalla divina
sostanza indiversificata.
Ricordate l'esempio dei maestri,
dell'arancia posta al centro di un tavolo e
di tutti gli osservatori che la guardano
ognuno dal proprio punto di vista? Ecco,
l'arancia del cosmo esiste come risultato di
tutte le percezioni individuali, mentre in
sè non esiste. Se si tolgono le limitazioni
percettive dei sensi fisici, sparisce la
materia fisica. Sparisce, non appare più:
essa appare solo a chi ha questa specie di
occhiali, di lenti magiche, che sono appunto
le limitazioni dei sensi.
Esiste qualcosa di
oggettivo nel mondo dell'uomo, nel mondo
della percezione?
Questo "qualcosa di oggettivo", come tu lo
chiami, corrisponde al "soggettivo
universale" di Kant, ovvero ai "comuni
denominatori delle varie soggettività", come
dicono i maestri. Ma il fatto che una certa
visione sia comune a tutti gli uomini non è
una prova che quella visione sia oggettiva;
può essere comune a tutte le soggettività
degli uomini - un soggettivo generale,
universale, comune a tutti -, però non
significa che quella cosa sia oggettiva.
Che vuol dire "non essere oggettivo"?
Significa che l'uomo attraverso la
percezione non può mai conoscere la realtà
intrinseca della cosa, ma ne vede solo e
sempre l'apparenza; e il vedere l'apparenza
di un oggetto (io lo vedo in una certa
maniera e tu lo vedi in maniera analoga alla
mia e quindi possiamo intenderci benissimo
nel linguaggio, ma dell'oggetto sempre
l'apparenza vediamo), il vederne l'apparenza
non è mai il vedere la realtà di quell'oggetto.
E' un'apparenza quella che tutti gli uomini
vedono in maniera analoga.
La realtà intrinseca di quel dato oggetto
nessuno può vederla se non quando raggiunge
il piano akasico, e cioè quando può
raggiungere l'identificazione con quella
cosa, quando diventa quella stessa cosa:
solo allora ne conosce la realtà vera;
prima, attraverso la percezione, ne coglie
solo l'apparenza.
E qui tu mi potresti dire che anche la
stessa materia di cui è fatta l'apparenza è
composta dallo spirito nella sua espressione
più densa, e quindi qualcosa di oggettivo
deve pur averlo.
Prendiamo una macchina su di un muro. Tu
puoi interpretarla come una figura e quindi,
invece di vedere una macchina sul muro, vedi
una figura, no? E altri che guardano la
stessa macchina sul muro, la interpretano
come te e vedono una figura. Però, questa, è
la tua e la loro interpretazione; in sè
quella cosa è una macchina sul muro. La
realtà è una macchina sul muro, ma l'uomo,
proprio per il fatto di essere uomo, non può
che vedere una figura.
Ora, è vero che tutto è fatto di spirito, ma
la materia è fatta di energia, l'energia è
fatta di materia mentale, la materia mentale
è fatta di materia akasica, la materia
akasica è fatta di spirito, e allora ciò che
tu vedi di un oggetto è la forma della
materia dell'oggetto; quindi che cosa vedi?
Vedi l'apparenza dell'apparenza della
realtà.
Nel mondo della percezione, tutto ciò che
non cade direttamente nell'arco dei nostri
sensi, ma che pure entra nella nostra vita,
esiste veramente? Ad esempio: New York è
materialmente ricostruita per questa mia
esperienza attuale, o esiste solamente in
quei momenti in cui cade sotto la percezione
dei miei sensi?
Questa domanda è bellissima perchè ci spiega
ancor meglio il mondo dei fotogrammi con il
suo meccanismo.
Io direi che New York in sè non esiste: è
solo il comun denominatore delle serie di
fotogrammi di tutte le vite di tutti coloro
che sono, sono stati, saranno a New York,
che danno nella loro serie di fotogrammi
questo sfondo di New York. Allora, non
esistendo in sè, possiamo dire che esiste
tutte le volte che tu la incontri, proprio
perchè nel tuo fotogramma è rappresentata.
Ma questo vale, sempre ognuno dal proprio
punto di vista, anche per coloro che ci
circondano. Ora, seguendo questa logica, tu
giungi alla conclusione che io, e anche i
maestri, dal tuo punto di vista esistiamo
solo quando siamo rappresentati nel tuo
fotogramma; ma questo, se pure è vero, non
ha nessuna importanza, perchè tu devi sempre
tenere presente che dietro questa voce che
tu senti c'è una coscienza; la mia voce non
è un suono, c'è coscienza dietro. E questo
discorso viene fuori dal fatto che Dio è
coscienza assoluta.
Credere inanimata la materia, credere a
qualcosa di inerte, è proprio un errore di
trasposizione e di percezione, ma l'ambiente
nel quale ogni essere vive è coscienza.
Tutti noi siamo sè in un ambiente, ma
completamente avvolti dalla coscienza, tutto
è coscienza; e questa coscienza in certi
punti si polarizza, e parla anche attraverso
un semplice fatto, una semplice azione, o un
semplice moto che può sembrare meccanico. Ma
è sempre questa unica coscienza che ti
parla, che ti si manifesta. |
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