Questa sera vorrei limitarmi
a fare delle semplici
considerazioni lasciando a
voi trarre le conclusioni
che più vi sembrano
logiche.
Il discorso che voglio fare
riguarda la consapevolezza
di sé: il sentirsi d'essere.
L'uomo limita se stesso alla
propria consapevolezza;
l'antico cogito ergo sum
solo ora comincia ad essere
rivalutato, o meglio
ridimensionato, in seguito
all'ipotesi che l'esistenza
non sia tutta contenuta nel
pensiero consapevole. Ed in
effetti l'essere va oltre il
pensiero, oltre la facoltà
di pensare. Ma di fatto,
nell'uomo comune, il senso
della propria esistenza è
ancora tutto legato all'io.
Perciò da qui noi dobbiamo
cominciare. Non è la prima
volta che c'interessiamo
dell'io, altre volte ne
abbiamo parlato; ora da un
punto di vista etico, ora
analitico, fino ad affermare
che nella struttura
dell'individuo l'io non
esiste. Infatti se, come
abbiamo detto la volta
scorsa, in realtà esiste
solo l'Unità, allora il
senso dell'io, del sentirsi
diversi e distinti,
appartiene all'apparenza. Se
in effetti siamo un solo
essere, allora il senso
dell'io che si oppone al
non-io non ha fondamento.
"Ma - direte voi - da
questo punto di vista, dal
punto di vista della realtà
oggettiva, null'altro
esiste, oggettivamente, se
non Dio; e perciò non solo
non esiste l'io, ma neppure
l'individuo inteso come ente
reale, preso a sé, distinto
da ogni altro della medesima
specie".
Non c'è dubbio, Ma ciò che
intendo significare è che,
pur restando nell'ambito del
relativo e quindi del
molteplice e del soggettivo,
l'io non fa parte della
struttura dell'individuo,
essendo il suo modo di
concepire la Realtà,
un'opinione derivante da
un'errata percezione del
reale.
Da ciò si comprende che con
io noi intendiamo qualcosa
di diverso dall’io
filosofico che sta a
designare il soggetto
pensante e cosciente delle
proprie modificazioni; o
dall’Ego della psicoanalisi
inteso come principio della
coscienza, su cui agiscono
le due forme inconsce Es o
Id, ossia le tendenze
ereditarie ed istintive, e
il super-io, ossia il
complesso delle regole
morali.
Per noi l'io è il principio
della consapevolezza
contenuta o, se preferite,
non ancora liberato da una
concezione dualistica della
realtà. Dicendo che l'io non
fa parte della struttura
dell'individuo, intendiamo
significare che il principio
della consapevolezza può
esistere, o meglio ancora, è
votato ad esistere al di là
della concezione io-non io.
Per noi - ancora una volta
lo ripetiamo - l'individuo
non è un io che « sente «,
ma un « insieme di sentire
«.
Allora da che cosa nasce il
senso dell'io?
E' chiaro che parlare di io,
significa parlare del
livello di evoluzione umana.
Nel superuomo, cioè in colui
che ha già lasciato la ruota
delle nascite e delle morti,
non esiste più l'io, ma ciò
non significa che non esista
la consapevolezza di sé.
L'io nasce innanzi tutto
dalla limitata percezione
che l'uomo ha; ossia dal
ristretto campo della
sensibilità ricettiva. Se
l'uomo ha fame, non si
sfamerà vedendo mangiare un
altro. Da ciò nasce la
convinzione che il proprio
essere non si estenda oltre
la possibilità di ricezione
consapevole. Nasce la
distinzione fra ciò che
colpisce direttamente e
quello di cui non si ha
cognizione.
V'è poi il ricordo che,
tenendo ben presenti le
esperienze consumate ed i
limiti entro cui esse
toccano, contribuisce a ben
identificare il campo della
propria ricezione e quindi
alimenta, così, il senso di
separatività. Inoltre il
ricordo crea la continuità
dell'io nel tempo."La tal
cosa è accaduta a me".
Ora, se voi pensate a quando
eravate dei fanciulli, voi
pensate ad un dato momento
della vostra esistenza;
eppure i fanciulli che
eravate, erano ben diversi
dagli uomini che siete. V'è
differenza nelle azioni,
negli interessi, nei
desideri, nelle emozioni,
quasi che si trattasse di un
altro essere; ma il ricordo
vi garantisce che si tratta
di voi stessi.
Se qualcuno vi dicesse che
avete avuto una vita in
precedenza all'attuale,
certamente questo fatto vi
incuriosirebbe, ma la prova
di ciò potrebbe venirvi solo
dal ricordare quella vita.
Eppure quante azioni di
questa attuale esistenza non
ricordate e non v'è dubbio
che voi le avete compiute!
Dunque il ricordo, che
secondo voi garantisce la
continuità del vostro
essere, quando manchi, non
prova che questa continuità
non vi sia. Se parlo del
ricordo è perché voi date
tanta importanza ad esso al
fine dell'identificazione di
voi stessi. Il ricordo, come
ho detto, vi garantisce che
voi continuate nel tempo.
Ma è un errore collegare se
stessi al ricordo; la
continuità sta nello stesso
sentire d'essere,
nell'essere in sé che non
cessa, e non può cessare
d'essere. Il ricordo
perisce, si può anche
dimenticare chi si è o chi
si è stati, come nei casi di
totale amnesia; ma il
sentirsi d'essere non
cesserà mai.
E questo sentirsi d'essere
non è destinato a perire
come perisce il ricordo, ma
ad ampliarsi sempre di più,
fino a sussistere
indipendentemente dai
pensieri, dai desideri,
Dalle sensazioni; anzi, nel
silenzio di questi, ad
espandersi talmente ad
abbracciare tutto quanto
l'io esclude: il non-io. La
vostra esistenza futura,
quindi, non prevede la
continuazione delle vostre
limitazioni, della ristretta
concezione dualistica che
voi avete della realtà,
dell'io che è limitazione;
ma l'espansione del vostro
essere, l'effusione, la
comunione con tutto quanto
esiste.
Ora, se la considerazione
che il non ricordare un dato
momento della propria
esistenza non significa che
quel momento non sia stato
vissuto, la si sposta dal
ricordo alla consapevolezza
del presente, se ne deduce
che il fatto che nel
presente non si sappia o non
si « senta « qualcosa, non
significa che questo "qualcosa" non faccia parte
di se stessi.
In altre parole: premesso
che l'essere uomo va ben
oltre l'io, sia inteso come
soggetto pensante che come
principio della
consapevolezza - perché
l'essere ha una parte
inconscia e ciò è ormai
universalmente accettato,
tanto che si stima la parte
inconsapevole assai più
grande di quella consapevole
- vi domando fino a che
punto è vera ed è giusta la
concezione che si ha della
realtà, basata unicamente
sul ricordo e sulla
consapevolezza del
presente?
Può nascondere, quella parte
inconscia dell'essere,
qualcosa che modifichi
totalmente la concezione
della realtà secondo lo
schema io-non io?
E che cosa vi accadrebbe se
- come dopo il trapasso
vengono ritrovati i ricordi
di precedenti incarnazioni -
ad un dato punto della
vostra esistenza di
individui trovaste non la
consapevolezza d'essere
stati qualcun altro, ma la
consapevolezza d'essere
qualcun altro? Che so!
D'essere l'aggressore e
l'aggredito, d'essere
insomma tutto quanto una
concezione ristretta, che
voi avete attualmente, vi fa
escludere di essere.
D'essere io e non io?
Meditate su questi
interrogativi. Vi aiuteranno
ad avvicinarvi ad un nuovo
modo di concepire la realtà.
Più volte abbiamo ripetuto
che Dio è il
Tutto-Uno-Assoluto. Questo
significa non solo che tutto
quanto esiste è in Dio e fa
parte di Dio, ma che Dio è «
coscienza assoluta «, in cui
la molteplicità è trascesa
perché fusa nell'Unità. Non
s'intenda però con questo
che Dio sia un ente che
sovrintende, che sta più in
alto.
Badate bene: è molto meno
errato credere che Dio sia
uno stato di coscienza,
piuttosto che pensarlo come
una persona. Infatti da
sempre noi vi abbiamo detto
che Dio è coscienza
assoluta. Ma voi avete preso
questa affermazione come se
Dio fosse un essere che
avesse una coscienza
assoluta, così come potrebbe
avere un bel sorriso. No,
miei cari! Non è l'essere
che ha la coscienza, ma
l'essere è la coscienza o
viceversa.
E' ben diverso, pensateci
bene.
Se il Tutto è considerato
prescindendo dall’Unità,
appare la molteplicità,
compaiono gli esseri, i
mondi; il divenire.
Ma il divenire non è reale
perché è l'apparenza di una
parte della
Realtà-Unica-Totale, ossia
di Dio. Tuttavia affermare
che il divenire è
un'apparenza, non spiega
come è fatta salva
l'immutabilità di Dio, in
mancanza della quale Dio non
sarebbe Assoluto. Bisogna
che quanto a noi appare
divenire, come futuro, come
probabilità che non è
realizzata ma che si
realizzerà, esista già; e
non come idea archetipa, ma
come realtà vivente e
palpitante quale sarà
vissuta. Altrimenti Dio, che
tutto comprende, muterebbe
col mutare del divenire dei
mondi.
Ed eccoci all'insegnamento
dei fotogrammi, con cui
abbiamo spiegato che ciò che
vi appare come divenire,
come probabilità che si
realizzerà, esiste già tutto
contenuto in serie di
situazioni cosmiche fisse
nel non tempo, nell'Eterno
Presente così, come l'azione
viva e palpitante che si
osserva in un film, è
contenuta nei fotogrammi
della pellicola.
E questo concetto non è in
contraddizione con la
libertà relativa; abbiamo
spiegato questo parlandovi
delle serie di situazioni
cosmiche parallele, cioè
delle cosiddette varianti.
Allora quando un veggente di
provata capacità sembra
sbagliare la sua previsione,
non ha sbagliato veramente e
propriamente in quanto si è
collegato alla situazione
cosmica parallela, alla
variante non vissuta dalla
generalità.
Ma su questo argomento
potremo tornare più
profondamente, se
v'interesserà -. E come il
divenire dei mondi è tutto
contenuto in serie di
situazioni cosmiche fisse
nell'eternità, così
l'evoluzione degli esseri
non è un divenire, ma
risulta da serie di «
sentire «, virtuali frazioni
dell'unico sentire, uniti in
successione logica dal più
semplice al più complesso.
Ogni essere, considerato
nella sua continuità è una
serie di sentire. Il senso
dello scorrere e della
continuità risiede nella
natura stessa del « sentire
« che, se pur limitato, è
coscienza d'essere.
Badate bene: dico coscienza
d'essere, non
consapevolezza. V'è una
differenza fra la coscienza
d'essere e la consapevolezza
dell'uomo.
Se noi prendiamo in esame un
essere, uno spirito,
un'individualità, la vediamo
tutta contenuta fra due
estremi: da una parte
l'atomo del sentire, il
sentire, più semplice,
quello che non risuona se
non è collegato al mondo
fenomenico della percezione;
dall’altro il "sentire" più
complesso.
Qual è il sentire più
complesso? Ovviamente il
"sentire assoluto" che tutto
comprende, che è essere uno
ed essere tutto al di là del
virtuale frazionamento che
genera i mondi ed il loro
divenire. E siccome il
sentire assoluto è unico - e
non potrebbe essere
diversamente - ne consegue
che ogni essere ha in comune
per lo meno questo « sentire
«. Ma siccome il « sentire
assoluto « tutto comprende,
ne deriva che noi siamo in
realtà un solo essere.
Badate: l'esistenza di Dio è
conciliabile con la
molteplicità dei mondi e
degli esseri in un solo modo
e con un solo concetto: che
Dio sia uno stato di
coscienza in cui tutto è
fuso e trasceso nell'Unità.
Se questo è vero, anche solo
per approssimazione, ne
consegue logicamente e
necessariamente:
1) che niente può essere
escluso da questa comunione,
del resto già esistente da
sempre nell'Eterno Presente,
2) che ogni essere raggiunge
Dio, altrimenti non sarebbe
realizzata l'Unità, ossia
non esisterebbe Dio,
3) che Dio è raggiunto senza
che ciò origini più di un
Assoluto.
Fratelli, da sempre vi
abbiamo detto che tutto è un
aspetto di Dio, ma questo
significa, in altre parole,
che Dio è la reale
condizione d'esistenza del
Tutto. |