Nella storia della civiltà vi sono alcune scoperte e
invenzioni la cui utilità è stata veramente
fondamentale ed universale; ad esempio il fuoco, la
ruota, la leva e via e via. Cosí nell'odissea
dell'homo sapiens
- questo
essere che dalla prima forma di individualizzazione
evolve fino a dimenticare la propria individualità
per accendersi del piú puro altruismo - c'è qualcosa
di altrettanto fondamentale e universale. Certo non
si tratta di un bene materiale, non si tratta di una
dote naturale di cui piú o meno tutti siano
provvisti. Si tratta di qualcosa di inafferrabile,
non di rado infondato e assurdo, ma che dà, a chi lo
possiede, talvolta, piú di un aiuto materiale, di un
bene prezioso. Parlo della facoltà di sperare: della
speranza.
Oh, speranza, cara amica dell'uomo, quanto gli dai
in cambio di nulla, perché non costa sperare! Tu
addolcisci ogni angoscia, ogni dolore; tu aiuti a
sopportare, ad accettare; tu apri uno spiraglio di
luce a chi è immerso nell'oscurità anche piú greve.
Ed è per quello spiraglio che non è sopraffatto, che
non soccombe. Anche nelle situazioni disperate -
cioè senza speranza - tu non ti rassegni e in altra
forma, con altra promessa, soccorri l'infelice. Chi
è che aiuta a tener duro, a resistere nella tempesta
delle avversità? La speranza che tutto finisca. Chi
è che oppone resistenza alla malattia e ne impedisce
il dilagare piú di ogni medicamento? La speranza di
guarire. Chi fa sopportare duri sacrifici, talvolta
con forza sovrumana? La speranza di riuscire, di
raggiungere la mèta. Se non vi fosse la speranza di
raggiungere l'oggetto del proprio volere, la volontà
mancherebbe e lo sforzo, la fatica, sarebbero
decuplicati e, quel che piú
importa,
infruttuosi.
Ma ditemi: chi
intraprenderebbe un'impresa se non sperasse di
riuscire nel suo intento? Per rendersi conto di
quanta forza, coraggio e conforto rechi la speranza,
basta pensare al suo contrario: la disperazione. E
quanto soffrano coloro a cui la speranza non arride
piú, lo si capisce chiedendosi: chi può fare a meno
di sperare? Chi è tanto forte da accettare una
condanna della vita, senza illudersi che qualcosa,
all'ultimo momento, lo salvi? Chi rinuncerebbe a una
promessa di aiuto nel bisogno?
Fra coloro che la speranza non soccorre vi sono i
pessimisti. Poveretti! Sono da compiangere. Si, è
vero, possono aver ragione, ragione a non confidare;
ma possono anche aver torto e allora perché
rinunziare in partenza a quell'afflato che la
speranza sa donare? Per non rischiare la delusione?
Bene, io vi dico invece: rischiate. Quel teorico
cinquanta per cento di delusione che potreste avere
è piú conveniente di un cento per cento senza
speranza.
E poi, perché non sperare? Perché darsi per vinti,
perché mettere limiti alla potenza di Dio? Fra i
casi giudicati senza speranza, ce n'è sempre almeno
uno che, invece, si è risolto diversamente. E perché
il vostro non potrebbe essere il secondo? Però
sappiate che tutti i casi che si sono risolti
felicemente, nessuno escluso, erano vissuti nella
speranza.
Ma se certe speranze vengono deluse e si dimostrano
poi, nella realtà, vane, allora che cos'è la
speranza? Assegnamento o chimera, conforto o
illusione? Miraggio o promessa? Prospettiva o sogno?
La speranza è tutto questo: è sogno, miraggio,
illusione, chimera quando non si realizza, ma anche
quando è così, la delusione non cancella ciò che la
speranza, prima, ha donato.
Credetemi, il Creatore dando all'uomo la
possibilità di sperare gli ha fatto un dono
meraviglioso. Saggiamente il cattolicesimo fa della
speranza una virtú teologale, cioè una di quelle
virtú infuse da Dio nell'uomo per la sua beatitudine
soprannaturale.
Sapete che cosa vi
dico? Se la Verità del Tutto, se la conoscenza del
vero significato di tutto quanto accade, se la
Realtà dell'esistente non fosse essa stessa di
per sé speranza, vi direi che è piú importante
infondere speranza che far conoscere la Verità; e se
dovessi scegliere fra l'essere Maestro di qualcuno
o, invece, rappresentare per lui la speranza, vi
assicuro che con immensa gioia sceglierei d'essere
la sua speranza, perché non ci può essere niente di
piú bello e gratificante che essere la speme di una
creatura.
Ma, badate bene, io non vi parlo di quella speranza
dell'abulico, del rassegnato; io vi parlo di quella
speranza, anche irrazionale, ma che dà fiducia,
stimola ad agire, a non darsi per vinti.
Non vi parlo di quella speranza che è evasione dalla
realtà. Vi parlo di quella speranza che, pur nella
piena consapevolezza della situazione presente, non
abbandona. Anzi, piú sembra assurda e piú dà
accanimento a credere in un domani migliore,
raggiungibile attraverso l'opera nell'oggi. Questo è
il punto! Non la speranza che, inerme, vi fa
attendere che la soluzione piova dal cielo, ma
quella che la combattere perché dà la fiducia che la
lotta, in qualche modo, possa essere vinta. E
quand'anche ciò non fosse, la vera speranza non si
spegne, ma dà la fiducia che niente è mai veramente
perduto e che alla privazione segue, per una legge
naturale e divina, una dotazione piú grande.
La vera speranza rende fidenti che chi si ama
veramente, per una legge naturale e divina, non
viene mai definitivamente diviso e che, a una
momentanea separazione, segue un'unione piú bella,
piú viva, piú consapevole, piú sentita, piú
desiderata e mai più
interrotta.
Se avete una minima fiducia in me - e lo credo,
perché altrimenti non stareste ad ascoltarmi,
nemmeno per curiosità allora, vi prego, credetemi.
lo vi dico che tutto accade per il vostro vero bene
e che nel mondo invisibile che sperate esista non
avete degli esseri ostili che fanno di tutto per
farvi soffrire, ma creature che vi amano e che fanno
di tutto per farvi crescere, maturare, rendere piú
coscienti, piú liberi e felici.
Si,
fratelli, se ancora non l'avete capito, il mio non è
un invito alla disperazione: è un invito a sperare!
« In che cosa? » sento che vi chiedete. E vi vedo
girare attorno lo sguardo, mentre un'espressione di
sgomento si rivela sul vostro volto. Sí, certo, le
stragi fini a se stesse mietono vittime innocenti,
stroncano la vita di inermi passanti. Ma io vi dico:
sperate! I fatti obbrobriosi sono subito dimenticati
e finiscono col passare quasi inosservati
nell'indifferenza generale. Ma io vi dico: sperate!
Pare che l'onestà sia un antico ricordo; un'usanza
di tempi ormai superati che non ha piú senso, ma io
vi dico: sperate!
Nessuno sembra piú disposto a lavorare, a faticare,
a sacrificarsi, a fare il proprio dovere che costa,
ma io vi dico: sperate!
Nessuno piú vorrebbe rivestire il ruolo di essere
anonimo che svolge i servizi piú umili, in silenzio,
ma io vi dico: sperate!
Ognuno pretende, con prepotenza esige e non vuole
essere secondo a nessuno, ma io vi dico: sperate!
I buoni sono irrisi, sembra che siano premiati i
peggiori e che i disonesti la facciano franca, ma io
vi dico: sperate!
« Sperare in che cosa? », voi vi domandate. Non'
c'è nessuno in cui sperare; nessuno che sembri
lavorare, industriarsi, agire non per se stesso; non
c'è qualcuno che possa essere levato a simbolo,
additato ad esempio.
Allora vi dico: c'è una schiera di creature
anonime, silenziose, che non fanno cronaca, che non
conoscono la lusinga del successo, la tentazione del
potere, la sete di possedere; che si accontentano di
quello che hanno, non perché non potrebbero avere
altro, ma perché hanno capito, che sono pronte a
donare; che non si sentono umiliate a rivestire
ruoli umili, a mandare innanzi altri, solo che ne
vedano il valore; che sono pronte a sacrificarsi,
solo che si convincano che ne vale la pena. Son loro
che mi autorizzano a dirvi: sperate! Sperate in un
domani migliore, nell'uomo migliore, nella virtú
trionfante, nel buon senso che prevale, nella
coscienza che si desta, nella volontà di creare un
mondo piú bello, nella speranza che ritorna: perché
sperare è carezzare, è concepire il bene, è cullare,
è infondere fiducia, è nutrire, è pascere, è
rinverdire, è dare forza. Sperare è creare!
Che la speranza sia con voi!
KEMPIS
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