Divenire ed Essere

(Estratto dal libro La fonte preziosa - Edizioni Mediterranee)


Quando vi parliamo della differenza che esiste fra " divenire " ed " essere " voi non ricordate che su questo argomento ci sono state perfino delle scuole filosofiche degli antichi filosofi, per esempio la scuola Eleatica; Parmenide, Zenone, Melisso, i quali, un po' per intuizione e un po' perché avevano ricevuto una tradizione orale che veniva dall'Egitto e ancora dalla Siria, dalla Babilonia e perfino da Atlantide, avevano capito che la realtà non può che identificarsi nell'"essere" e che il " divenire" che osserviamo nel mondo che ci circonda scaturisce da una falsa testimonianza dei nostri sensi. 

 

Le critiche che si possono fare al pensiero degli antichi filosofi in questo senso, possono essere rivolte a capire unicamente e solo i sistemi da loro pensati per conciliare il divenire con l'essere, ma non l'idea centrale che la realtà si debba identificare con l'essere.

Per esempio gli Atomisti dicevano che "l'essere" è indivisibile - appunto l'atomo - e che il divenire risulta dalla combinazione degli atomi da cui appunto scaturiscono le differenti materie con tutte le loro trasformazioni; non accorgendosi che in questo modo riducevano l'essere alla radice delle cose e davano al divenire una stessa realtà.

 

Di volta in volta che approfondiamo certi argomenti vogliamo mettere in luce il significato di questi per meglio comprenderli: vi sono certe verità che hanno bisogno di una verifica non nella loro enunciazione, ma nel senso di come sono da voi comprese.

Per esempio, la legge di evoluzione, l'evoluzione spirituale è una verità che non è soggetta a verifiche fino a che si comprende che lo spirito non può evolvere.

Generalmente l'evoluzione è accertata dai più perché riscatta il mondo quale è: si dice che gli orrori, il sangue, tutto quello che arreca dolore all'uomo, esistono perché gli uomini non sono evoluti, ma quando lo diverranno, il mondo tornerà ad essere il biblico Eden.

 

Ora, accettare l'evoluzione per il suo lato accomodante la rende oleografica e bisognosa di essere contestata: non solo, ma l'evoluzione spirituale è intesa, dagli spiritualisti, come appartenente ad una visione dell'esistente fatta dal punto di vista del divenire, divenire in meglio. Noi contestiamo questa concezione dell'evoluzione; il santo non è l'edizione riveduta e corretta del selvaggio, ma è un altro essere, intendo dire che il selvaggio non diviene Santo, ma l'uno e l'altro fanno parte di un " essere " che ha molteplici fasi di esistenza fra cui, appunto, quella di selvaggio e di Santo. 

 

Con questo " distinguo ", non sto facendo dell'accademia. Sto mettendo a fuoco l'enorme differenza che esiste fra due concetti e vedrete perché. Evolvere quindi non significa " divenire ", ma è il manifestarsi, in successione, di differenti " sentire " corrispondenti a tanti " stati di essere ". 

E' fondamentale capire ciò. Se l'uomo evolvesse nel senso del " divenire " non giungerebbe mai ad identificarsi in Dio; un tempo perpetuo non basterebbe a comprendere l'Infinito. E se evolvere significasse " perpetuo divenire ", allora " infinito " dovrebbe voler dire, spazio senza limite ed " eterno " tempo senza fine. Ma il tempo e lo spazio non sono valori assoluti, e per il fatto stesso d'essere relativi, non possono essere senza fine.

 

Vediamo di spiegarci meglio. Dio può essere concepito in vari modi: come causa ed origine del Tutto, come ordinatore di un caos preesistente, come Essere da cui traggono origine tutti gli altri " esseri ", come Essere immanente nella realtà esistente e via via. Fra tutte le concezioni valide, serie di Dio, esistono dei punti di contatto; questi punti sono costituiti dai caratteri che si riconoscono a Dio e cioè: il carattere di Assoluto, Infinito, Eterno, Immutabile. 

Ammettendo uno di questi caratteri, non possiamo non ammettere gli altri perché è dire la stessa cosa: cioè, non posso pensare ad un Dio Assoluto, senza pensare che sia infinito, o non ammettere che sia eterno; allo stesso modo non posso credere che Dio sia eterno - cioè senza tempo perché " eterno " significa questo - senza ammettere implicitamente che Dio è immutabile, perché sarebbe una contraddizione in termine pensare a Dio Eterno che mutasse.

 

Per noi Dio è il Tutto-Uno-Assoluto che E', e ciò significa appunto fra l'altro che Dio è Eterno Infinito ed Immutabile. Dio solo è la Realtà totale, la Realtà assoluta, e solo Dio è eguale a Se stesso. L'emanato, pur essendo parte di Dio in Dio, proprio perché parte, non è la Realtà totale, non è Assoluto, quindi è relativo. Il tempo e lo spazio appartengono all'emanato, quindi sono relativi.

 

Osservando l'emanato noi lo vediamo in continuo mutare, in continuo trasformarsi. 

Ora se questa mutazione fosse reale, Dio intero muterebbe e non sarebbe più immutabile e non sarebbe più eterno, più assoluto. Dunque deve trattarsi di un " apparire ", ma non " essere "; ora questo apparire ma non " essere " come appare, corrisponde esattamente al contrario di ciò che noi abbiamo definito Realtà (la Realtà è ciò che è e non ciò che appare); per cui possiamo concludere che il mutare, il divenire, sono illusori; e se la Realtà è - e non può essere diversamente - senza durata, e l'illusione suo contrario (che non significa opposto, badate bene), finisce. 

L'illusione quindi, che sarebbe l'apparenza di una realtà, parte della Realtà totale, finisce. Sicché il mutare, il divenire, il tempo, lo spazio e il trasformarsi sono relativi, illusori, e finiscono. E non potrebbe essere diversamente! Un tempo ed uno spazio senza fine sono un assurdo. Solo dove tempo e spazio non esistono possono non esistere limiti ad essi, perché tempo e spazio sono il risultato di limiti e non possono esistere senza di questi.

 

Quando noi diciamo che il cosmo, che è relativo, dura in eterno non intendiamo dire che l'illusione del " divenire " nel cosmo non abbia fine, ma che il cosmo nell'Assoluto non può avere un reale inizio né una reale fine. Il cosmo esiste in Dio in tutte le sue fasi di manifestazione, dall'inizio alla fine nell'eternità del non tempo. Perché, ripeto, un " divenire " che duri un tempo perpetuo, cioè che abbia avuto un inizio e non abbia una fine, è doppiamente impossibile: primo perché un tempo senza fine non può esistere, secondo perché in ogni caso dovrebbe trattarsi di un reale " divenire ", che è inconciliabile con l'immutabilità di Dio.

 

Voi mi ricordate che anche Claudio ci parla del " divenire " dell'uomo: certamente, per farci capire che l'uomo deve sentirsi un " essere ", non un " divenire ". Voi pensate alle fasi successive della vostra esistenza come a delle promozioni in carriera, come un impiegato può passare a diventare capo ufficio o direttore, cambiando le sue mansioni ma non il suo " essere ". Non si raggiunge mai un " nuovo essere " col " divenire ". " L'essere " è del " sentire ", della coscienza: per voi, del corpo akasico; il " divenire " è del corpo mentale. Voi potreste conoscere tutte le cose che conosce un Maestro, ma questo solo non vi renderebbe tali. Solo il " sentire " appartiene alla realtà "dell'essere ". 

Così, quando osserviamo un'esistenza individuale nelle sue fasi comprese dal selvaggio al superuomo, noi non osserviamo un selvaggio che " diviene " superuomo, ma osserviamo le molteplici fasi di esistenza - cioè di " essere " di quella individualità, e poiché le fasi si susseguono dal più semplice al più complesso, voi dite che l'individuo evolve. Noi pure lo diciamo, le parole sono le stesse, ma ciò che vogliono significare è profondamente differente.

 

Questo sarebbe meraviglioso in politica, ma siccome noi politici non siamo, quando parliamo vogliamo significare qualcosa; cosi', quando diciamo che l'individuo evolve non intendiamo dire che l'individuo " diviene ". Un'esistenza individuale è già tutta completa in sé, niente può aggiungersi ad essa. Cosi evolvere non può significare " crescere ", ma può voler dire solo che i differenti " sentire " di quell'individualità si manifestano, vivono l'attimo eterno dell'esistenza. Ciò è incomprensibile se si crede che l'emanato si sviluppi in un tempo oggettivo staccato da Dio, vivente una realtà senza tempo. Ecco l'errore fondamentale che ha afflitto le teologie di tutti i tempi e di tutti i popoli. L'emanato fa parte integrante di Dio, la sua esistenza la parte dell'esistenza di Dio! Ecco perché non può esservi un reale " divenire " nell'emanazione.

 

Comprendo la vostra difficoltà ad afferrare questi concetti; il mondo che voi osservate è un mondo che sembra in continuo divenire, la realtà che cade sotto i vostri occhi vi pare una realtà che continuamente divenga; ma dovete tenere presente che questo è quello che appare, non quello che è. Ecco che cosa andiamo ripetendovi da tempo: la verità non è che voi osservate un mondo che " diviene ", ma è che voi avete una visione dinamica di un mondo statico. Non è la pianta che cresce, che continuamente " diviene ", che non è più quella che era, ma siete voi che ne osservate in successione le fasi di esistenza, voi che credete che le fasi già osservate non esistano più. Errore! Esistono nell'eternità del non tempo!

 

Vedete, abbiamo cercato di farvi capire che la realtà è tutta diversa dall'apparenza, che il mondo che cade sotto i vostri occhi è un mondo immobile, statico. Cerchiamo di farvi capire che la realtà non è una che "diviene" ma una costituita da molte che "sono." Allora - direte voi - dove nasce il movimento? L'illusione del movimento è originata dalla natura del " sentire individuale ", ma, per comprendere ciò, dobbiamo renderci conto una volta per tutte che noi non siamo creati nel senso generalmente accettato, cioè che Dio ci abbia tratto da Se stesso in Se stesso ad un dato punto, o momento, della Sua Esistenza senza tempo. Credere a ciò è quanto meno singolare se si riconoscono a Dio i caratteri di Assoluto Infinito Eterno Immutabile. Dunque noi esistiamo in Lui in eterno e possiamo considerarci Suoi figli solo nel senso che facciamo parte di Lui, della Sua Natura; che siamo una conseguenza della Sua Esistenza. Solo in questi termini noi discendiamo da Lui.

Egli è la realtà assoluta, Egli è, Egli sente, Egli è " sentire assoluto ".

 

Che cosa è lo " spirito "? E l'essenza del Tutto, è l'essere del Tutto, è l'esistere del Tutto, è il sentire del Tutto; il sentire Assoluto, inteso come " sentire " dell'insieme comprendente il " sentire delle parti ". Noi siamo il " sentire delle parti ", che è un " sentire " relativo e molteplice, che è " akasa ". Il " sentire delle parti " nasce dall'illusorio frazionamento dell'Uno-Assoluto nei " molti ". Perché " illusorio"? Se questo frazionamento fosse reale, il Tutto non potrebbe esistere come Dio, allo stesso modo che un oceano considerabile come un insieme di gocce, non esiste più come oceano nel momento che in queste realmente lo si trasformasse.

 

D'altra parte, se non esistesse la molteplicità, il " sentire assoluto " non sarebbe tale, ma sarebbe un " sentire " unico e solo monolite.

Ma come potrebbe, in questa molteplicità, mantenersi l'unità di Dio se ogni " sentire ", dal più semplice al più complesso, non fosse unito all'altro? E come potrebbe realizzarsi questa unione, questa continuità se non col fatto che il " sentire " più complesso comprende il più semplice?

Serie di " sentire ", dal più semplice al più complesso, sono le individualità. Ma poiché il " sentire " più complesso comprende il più semplice, nell'individuo inteso come momento di questa serie - cioè in noi quali ci sentiamo - nasce l'illusione di provenire " da " di tendere " a ", cioè l'illusione dello scorrere; ma poiché il " sentire " più complesso è il " sentire assoluto " che riassume e comprende in Sé ogni " sentire " fino ai più semplici, questa illusione sfocia nella realtà di Dio.

 

Noi quali ci sentiamo, quali crediamo di essere, esistiamo solo nell'illusione, nell'illusione della separatività. In realtà esiste solo Lui. Ma poiché Lui è " sentire assoluto " che comprende e riassume in Sé ogni " sentire ", ciò garantisce che la nostra esistenza non finisce col finire dell'illusione.

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Ripeto: il fatto che il " sentire " più complesso comprende il più semplice, genera nell'individuo l'illusione di provenire " da " e di tendere " a " e nella sua mente l'illusione del divenire, ma è lo stesso fatto che realizza l'unità del Tutto unendo, come un filo, tante perle in collane: " sentire " elementari corrispondenti sensitività di piante e di animali, a " sentire "più complessi corrispondenti a visioni limitate e circoscritte della Realtà come sono nell'uomo, e poi a " sentire " sempre più complessi corrispondenti a visioni sempre più ampie e poi a " comunioni " sempre più estese fin oltre l'ultimo scorrere, l'ultima separazione: l'identificazione in Dio.

 

Come il selvaggio non diviene Santo, ma l'uno e l'altro fanno parte di una stessa individualità, cosi noi, quali ci sentiamo, quali crediamo di essere, non comprenderemo mai Dio, ma facciamo parte di un'esistenza che in Lui si identifica. Il rapporto che esiste fra noi e la nostra individualità, è lo stesso che esiste fra la nostra individualità e Lui, e come il " sentire dell'individualità " è il " sentire " tutti i sentire individuali al di là della successione, cosi il " sentire assoluto " comprende il sentire di tutte le individualità al di là della separazione.

Ma il vero senso di queste parole traspare se si comprende che in Lui non può esservi distinzione: " io "-" non io ". Che in Lui non può staccarsi o giungere o tornare qualcuno perché Egli è in Realtà Eterno ed Indiviso Essere.

" Come spiegare pił chiaramente ciò, Padre? Questo Tuo essere tutti noi che ci conduce a riconoscerci in Te? Come dirlo, se nel momento che Ti chiamo, o quando Ti penso, non chiamo Te e non penso a Te, perché Tu non sei quello che riesco a pensare? Le parole non servono, perché appartengono ad un mondo che si fonda su ciò che sembra e Tu Sei. La nostra mente ci fa credere un "io separato" e Tu sei un Tutto-Uno-Assoluto. Il nostro sentimento ci assoggetta all'illusione del trascorrere e Tu sei la Realtà che non conosce sequenza.

Come avvicinarci a questa Realtà, se non abbiamo il coraggio di rinunciare a credere che "l' io" sopravvive? Noi quali ci sentiamo non siamo immortali, la nostra consapevolezza finisce per lasciar posto ad un'altra più grande consapevolezza, fino a che sentiamo che Tu solo esisti, che Tu solo sei la Realtà. Ma neppure questo è l'ultimo "sentire ", è l'ultimo dell'illusione. Oltre è l'Eterna Realtà del Tuo Essere, di fronte alla quale solo il silenzio è giusta voce " .