Ca’ Faggio 3 marzo 2001
LE FRONTIERE DELLA FISICA 2
(Principi elementari)
Indicazioni bibliografiche
Testi che possono essere utili per approfondire ulteriormente gli argomenti trattati nella lezione, o comunque a stimolare una riflessione, sono i seguenti:
Cerchio Firenze 77 “ Le grandi Verità ”
Fritjof Capra “ Il Tao della fisica ”
Fritjof Capra “ Il punto di svolta ”
Joseph Agassi “ Il Dialogo senza fine ”
Laurence Krauss “ Il mistero della massa oscura dell’universo ”
Stephen Hawking “ Dal big Bang ai buchi neri ”
Paul Davies “ Dio e la Fisica ”
Achille Ardigò Franco Garelli “ Valori, scienza e trascendenza ”
Come introduzione al brevissimo volo che faremo stasera sulla “fisica dei quanti” leggeremo insieme parte di una lezione di Kempis, quella dedicata alla relatività. In questa lezione Kempis non tratta della relatività in modo particolare, come abbiamo fatto noi la volta scorsa, ma tratta della relatività in senso lato, sotto vari aspetti, e fa alcune affermazioni che legano bene con quello che noi stasera tenteremo di trattare della fisica quantistica. Intanto ascoltiamo questo suo breve passaggio del quale cercherò di sottolineare alcuni punti che veramente sono importanti. E’ una lezione del 1979 ed entra nel novero di quelle finali dell’insegnamento. C’è da ricordare l’affermazione che lui fa, e che abbiamo ripreso la volta scorsa, in cui dice che un corpo che fosse solo ad esistere in assoluto non sarebbe mai in movimento, sarebbe e basta, sia fisicamente che filosoficamente. Evidentemente se non vi fossero né tempo e né spazio non vi sarebbe il moto che è la condizione di un corpo che muta nello spazio con il trascorrere del tempo: questa è una descrizione di moto. Se c’è solo un corpo, non c’è né tempo né spazio e non c’è neanche il moto. Una unica cosa ad esistere non è in movimento, è e basta. Saltiamo gran parte della lezione e andiamo a leggere quello che ci interessa:
“ Continuando le nostre riflessioni su un corpo solo ad esistere in assoluto, si scopre che la concezione di spazio della fisica relativistica bene si adatta a quello che è il nostro insegnamento. Infatti se anche il corpo che noi ipotizziamo fosse qualcosa di incorporeo, nel senso di non materiale, egualmente sarebbe immobile, immutabile; non solo, ma sarebbe anche infinito; qualcosa che secondo il vostro modo di vedere non dovrebbe avere dimensioni e che invece è infinito nel senso vero del concetto, che poi dirò qual è. Perché questa affermazione vi sembri meno assurda, vi dirò che tutto quanto esiste è ‘qualcosa’ : per esistere deve essere un ‘quanto’, ovviamente non in senso fisico, ma certamente in senso di ‘sostanza’. Lo stesso pensiero è qualcosa; lo spirito lo è. Le cose più astratte che possono esistere, astratte nel senso di non materiali, che non sono in se stesse materia o sostanza, sono dell’ordine dell’attributo, della condizione, della qualità, dello stato; sono cioè indissolubilmente legate alla sostanza, all’ente. Non esiste qualità senza quantità. ”
Questo è un punto su cui ci soffermiamo un attimo. Un attributo di per sé non può esistere come “ completamente staccato da”….l’attributo è indissolubilmente legato a quella cosa di cui è attributo. In pratica non si può staccare la qualità dalla cosa alla quale quella qualità viene attribuita. Qualsiasi cosa, ad esempio “buono” è un termine che richiede ci sia ciò a cui si attribuisce l’essere buono. Non è possibile per l’attributo esistere indipendentemente da ciò di cui è attributo, qualità ... ; così come l’esistere di ogni qualsivoglia ente, sostanza, materia, o altro, viene descritto attraverso un attributo tanto che continua...
(Kempis):
“Non si può negare l’attributo senza negare l’esistenza stessa dell’essere, dice la filosofia. Taluno afferma che il mondo materiale sensibile è invece immateriale perché è una vibrazione, o qualcosa di simile, e non comprende che la vibrazione, nella concezione più astratta, al massimo può essere la condizione di qualcosa, della sostanza. Ma se il mondo materiale è ‘vibrazione’. cioè è ‘condizione’, la sostanza è lo spirito. perciò lo spirito diventa meno astratto, più concreto più reale del mondo materiale sensibile. Ora, se anche il corpo che noi poniamo esista, unico in assoluto, fosse qualcosa che avesse una sola dimensione; e certamente non sto pensando a qualcosa di simile alla vostra retta che nella vostra stessa concezione è infinita, ma, per esempio, al segmento di retta; egualmente il mondo originato sarebbe infinito; e lo sarebbe anche se fosse una figura a due dimensioni, o un corpo a tre dimensioni; oserei dire, secondo il vostro modo di vedere, fossero anche di grandezza finita. Sì, lo sarebbero, infiniti, qualunque cosa fossero, perché sarebbero tutto l’esistente: e, come tale, non sarebbero limitati da alcunché...” Mancando ciò che limita ... qualsiasi cosa prendiamo in considerazione e qualsiasi forma abbia, qualsiasi dimensione noi possiamo immaginare che abbia, quella cosa è sempre l’unica cosa che esiste. Non ha niente che le ponga limiti e quindi è assoluta. Infatti, noi perché esistiamo? Perché siamo limitati, non solo come espressione di una coscienza limitata: limitati anche fisicamente. Se noi ci individuiamo come una forma limitata, ciò che sta attorno a questa forma ci delimita e in tal modo ci fa esistere come forma. Se tutto ciò che ci circonda e sta intorno a noi non ci fosse, noi non avremmo questa forma, perché le forme, affinché siano, è necessario che abbino un limite. Limite e forma sono indispensabili una all’altra: una forma esprime il limite della forma e il limite della non forma, e tutta la non forma che circonda quella forma la individua come forma, la fa esistere.
(Kempis): “ ... Nel mondo che voi conoscete, un qualunque oggetto che prendere in considerazione è limitato da tutto il resto che non è quell’oggetto: cioè un oggetto non è solo ad esistere in assoluto. Ma un oggetto che così fosse, cioè solo ad esistere in assoluto, sarebbe perciò illimitato, non conoscerebbe il limite della finitezza, sarebbe infinito. Quando noi diciamo ‘un oggetto solo ad esistere in assoluto ’, voi non dovete immaginare l’oggetto circondato dal ‘non-oggetto’, dal ‘vuoto’; il vuoto, il nulla, il non-essere assoluti, non possono esistere, perché non possono ‘essere’. Una tale esistenza sarebbe una contraddizione in termini, un assurdo. Anche il non-essere degli orientali è relativo, cioè è ‘non essere qualcosa’ ma ‘essere qualcos’altro’. Vedete, lo zero della aritmetica che non ha valore di quantità, ma solo di posizione, concettualmente afférma qualcosa, afferma il non valore. Nella realtà fisica - che so? - la stasi, l’equilibrio di un corpo che si contrappongono al moto, pur non esistendo in sé, sono qualcosa, sono la ‘condizione’ di un corpo che non muta posizione nello spazio con il trascorrere del tempo. Ma il non-essere assoluto - sottolineo assoluto - non può avere significati analoghi, perché nel momento stesso che fosse, che esistesse, che si ponesse, affermerebbe qualcosa, quanto meno se stesso, e perciò non sarebbe più il non-essere assoluto.
Aristotele concepiva lo spazio come quello occupato dai corpi. Lo spazio non è, come nella nostra concezione, ciò che sta tra un corpo e l’altro, ma è quello occupato da un corpo. Cioè io occupo uno spazio: quello è uno spazio aristotelico. Quello che Kempis sta descrivendo adesso è: se vi fosse un segmento di retta come unica cosa al mondo ad esistere in assoluto, costituirebbe un mondo uni-dimensionale, il mondo uni-dimensionale del segmento di retta infinito e con uno spazio come lo concepiva Aristotele, non spazio in senso di vuoto, ma spazio come tutto occupato da questo essere segmento di retta, da questa dimensione, da questa realtà uni-dimensionale.
(Kempis) : ‘ ... Il non essere assoluto si può immaginare solo quale contrapposizione all’essere assoluto, ma è un errore contrapporre qualcosa all’assoluto perché, se vi fosse qualcosa a lui contrapponibile, l’essere non sarebbe più assoluto: sarebbe semplicemente il termine di una dualità. Allora il nostro segmento di retta costituirebbe un mondo uni-dimensionale infinito, ma come lo concepiva Aristotele, cioè come l’estensione dei corpi. Se invece in assoluto l’unico ad esistere fosse una figura piana, cioè a due dimensioni; oppure un corpo a tre dimensioni; i mondi originati sarebbero “infinito bidimensionale” o “infinito tridimensionale”, ma sempre con uno spazio aristotelico.
Questo punto è molto importante. Kempis sta dicendo che se c’è una figura come un segmento di retta, il mondo a cui da vita è un mondo uni-dimensionale; se invece fosse una figura piana, per esempio un quadrato, un triangolo, il mondo a cui questa figura piana darebbe vita sarebbe bidimensionale; se invece la figura fosse a tre dimensioni, il mondo a cui darebbe vita sarebbe tridimensionale.
(Kempis): Per giungere ad uno ‘spazio’quale voi lo concepite è necessario cambiare tipo di realtà, e cioè: da una realtà unica in cui esiste un solo corpo, un solo ‘quid’, passare quanto meno ad una realtà duale.
Altro elemento molto importante: affinché vi sia lo spazio come lo intendiamo noi è indispensabile la dualità e non vi può essere un unico essere ad esistere, una unica manifestazione infinita; quella dimensione relativa non può esistere tutta in sé, ma deve comprendere qualche cosa che entra in una relazione come minimo duale. Ed ecco che c’è l’io e c’è il non io. In questa relazione che c’è tra l’oggetto e ciò che lo circonda esiste lo spazio come quello che concepiamo noi. Noi concepiamo lo spazio come vuoto, come qualcosa di assoluto in sé, ma questo tipo di spazio non può esistere; esiterebbe solo uno spazio aristotelico, perché vi sarebbe una unica cosa esistente in assoluto.
(Kempis): Non è la prima volta che vi parliamo di questo tipo di realtà, la più semplice delle realtà molteplici. Ricorderete l’esempio dei due pianeti in avvicinamento: in una realtà in cui esistono solamente, in assoluto, due corpi, o due ‘quid’, non è immaginabile l’ipotesi che uno solo dei due corpi si muova incontro all’altro, ma si può solo dire che la distanza che li separa diminuisce. Ora, due corpi che esistono in una realtà non sono infiniti, non possono esserlo: l’uno diventa limite dell’altro. Inoltre, fra due corpi che esistono nella stessa realtà c’è un rapporto quanto meno inteso in senso matematico: tale rapporto crea il concetto di relatività, di dipendenza, perché, come prima dicevo, ciascun corpo è condizionato dall’altro. ( ... ) Per il fatto stesso che i corpi sono due, salta fuori il concetto di spazio inteso non più nel senso aristotelico stretto, di estensione dei corpi, ma anche come estensione del ‘non corpi ’, cioè di quel ‘quid’che divide, delimita, distingue i corpi: fa dell’esistente due corpi. Ora mi sembra abbastanza comprensibile che, se non esistono i corpi, non esiste il ‘non corpi ’. Quindi lo spazio, comunque lo si voglia intendere, sia come estensione dei corpi e sia come estensione del ‘non corpi ’ è strettamente connesso ai corpi. Ma se lo spazio è connesso e dipende strettamente da ciò che esiste, non può esistere uno spazio a tre dimensioni se non esistono corpi a tre dimensioni. Nella molteplicità, quindi, è possibile l’esistenza di uno spazio a n dimensioni purché vi sia un solo corpo che tante ne abbia. Gli enti percepienti percepiscono la realtà come avente non più dimensioni di quelle che essi stessi hanno al momento della percezione, cioè relativamente alle contingenti loro limitazioni. Se dunque le limitazioni strutturali di un ente percepiente ne fanno un oggetto cosmico a tre dimensioni, egli percepirà la realtà con tre dimensioni anche se la realtà ne avesse cento.
Qui per il momento ci fermiamo con Kempis perché abbiamo già molti elementi di riflessione e vediamo un po’ cosa hanno combinato nel frattempo i nostri amici fisici che si sono dati tanto daffare. Siamo rimasti a Einstein. Alla svolta del diciannovesimo secolo i fisici scoprirono vari fenomeni connessi con la struttura, dell’atomo; fenomeni come la radioattività, i raggi x, che non erano spiegabili nei termini della fisica normale, della fisica classica che abbiamo trattato la volta scorsa e che ci ha accompagnato e strutturato la mente per molti secoli, al punto che noi oggi non riusciamo a sottrarci a quella struttura mentale. Alcuni di questi fenomeni furono utilizzati per studiare ancora più a fondo la materia atomica e sub atomica; a fondo come non era mai stato fatto prima. Uno di questi fenomeni è il comportamento e le caratteristiche dette particelle Alfa che, emesse da sostanze radioattive, si scoprì potevano essere potenzialmente veri e propri proiettili sub atomici che avevano una altissima velocità, potevano essere sparati contro gli atomi e, da come rimbalzavano su questi, si potevano trarre conclusioni sulla struttura dell’atomo stesso. L’esplorazione del mondo atomico e sub atomico creò delle difficoltà enormi perché mise in contatto gli scienziati con delle realtà a cui loro non erano per niente abituati e li costrinse a pensare e ad utilizzare la mente in modo completamente diverso. Non era successo mai niente di simile nella storia della scienza. C’erano state sì delle rivoluzioni gigantesche nella scienza: quella copernicana, quella proposta da Darwin con l’evoluzione della specie, rivoluzioni che avevano veramente sconvolto il mondo scientifico, però erano state tutte cose che in sé, dal punto di vista dei concetti, non erano state difficili da capire, e le menti erano state scombussolate più che altro per le implicazioni che portavano, e questo perché rivoluzionavano una certa visione del mondo. Con il XX° secolo, invece, i fisici si trovarono di fronte a una sfida per loro impensata, una sfida impossibile: dovettero accettare con amarezza che i loro sistemi logici non servivano, la loro mente era dei tutto inadeguata a entrare nel mondo degli atomi, ad avere a che fare con i fenomeni atomici. Provate a immaginare chi è tutto mente, come può esserlo un fisico teorico, che ha una certa struttura di pensiero che gli deriva da quella lontananza di secoli e di modi, di pensare tutti li nella sua mente e di corpo si rende conto che ciò che gli si prospetta è impensabile, e che dalle domande che pone alla natura così come gli si presenta emergono solo paradossi e lui non ha strumenti, neanche di linguaggio, adeguati e sufficienti a contenere quello che gli viene dalla natura. E più domanda, più il paradosso aumenta e gli scombina tutta la struttura mentale.
Racconta Heisenberg, uno dei più grandi della fisica quantistica: …Ricordo certe discussioni con Bohr che si prolungarono per molte ore fino a notte piena e che ci condussero quasi a uno stato di disperazione. E quando al termine della discussione me ne andavo da solo a fare una passeggiata nel parco vicino, continuavo a domandarmi: è possibile che la natura sia così assurda come ci appare in quegli esperimenti atomici?
Questi fisici impiegarono molto tempo ad accettare il fatto che i paradossi che incontravano sono l’essenza stessa della Fisica atomica, del mondo atomico. Quando cominciarono ad accettare questo, cominciarono a porsi, diciamo così, le domande giuste e cominciarono ad avere delle risposte.
Sempre Heisenberg dice: ….. ‘La reazione ai recenti sviluppi della Fisica moderna (perché all’inizio vi fu una reazione enorme; la Fisica quantistica veniva respinta da tutto il mondo scientifico) può essere intesa solo se ci si rende ben conto che questa volta hanno cominciato a spostarsi gli stessi fondamenti della Fisica e questo spostamento ha prodotto la sensazione che ci sarebbe stato tolto da sotto i piedi il terreno stesso su cui poggiavamo, e intendo anche fisicamente .’
Davanti a lui si scardinavano completamente tutti i parametri di pensiero e al tempo stesso le risposte che si cominciavano a intravedere e che gli giungevano, gli toglievano di torno ogni tipo di visione che avesse a che fare con la materialità, proprio con la solidità fisica, (per questo lui dice anche fisicamente) perché cominciò a vedere che questa materia non era quella a cui si era sempre pensato sino ad allora. Questa teoria quantistica fu formulata, diciamo nelle sue parti essenziali, e poi sviluppata, sempre in modo essenziale, nei primi trent’anni del secolo scorso da un gruppo internazionale veramente strepitoso di fisici, perché è stata gente capace in un certo senso di superare il proprio io, che era tutto dentro la mente, e di andare oltre se stessi: Marx Plank, Einstein, Bohr, Heisenberg, Louis De Broglie, Scrodinger, Wolfgang Pauli, Paul Dirac ... dei fisici veramente eccezionali, persone capaci di andare oltre anche in un altro senso, perché questi mutamenti rivoluzionari nei concetti della realtà che furono provocati dalla nuova Fisica, indusse molti di loro a comprendere nel campo dei loro interessi anche le implicazioni filosofiche che derivavano da queste scoperte, e non solo l’aspetto puramente tecnico della ricerca. Per questo la Fisica (rivelandosi a loro questo mondo sub atomico così come si è rivelato e si sta rivelando) è quasi naturalmente slittata verso implicazioni di ordine filosofico e non c’è libro di divulgazione scientifica, oggi, che perlomeno non sfiori certi argomenti: la questione di Dio, la questione della realtà esistenziale, della vita. Stanno veramente riunendosi gli elementi di ciò che è di per sé unito, ma che è stato diviso dall’uomo tanto tempo fa. In contrasto con la visione meccanicistica cartesiana del mondo che lo descrive come una macchina composta (come abbiamo visto la volta scorsa) da tante presenze, da, diciamo, una moltitudine di oggetti; molti di questi ricercatori raffigurano oggi l’universo come un tutt’uno, come qualche cosa di unito, un tutto dinamico ma indivisibile, le cui parti sono essenzialmente interconnesse, cioè sono in relazione. Sembra sempre che ci sia una parte di qua e una parte di là e la loro relazione, ma non sono elementi separati. Abbiamo di fronte una difficoltà: ve la descrivo per spiegare anche la difficoltà in cui si è trovato Heisenberg coi suoi compagni all’inizio dei secolo scorso. E’ la difficoltà che anche noi oggi pomeriggio incontreremo, per cui bisognerà fare in qualche modo uno sforzo. Un po’ di allenamento lo abbiamo fatto con l’insegnamento dei Maestri, ma stasera ci troviamo in una difficoltà concreta che è quella di dover usare un linguaggio separativo, un linguaggio che prevede le cose a blocchi, prevede che gli oggetti siano separati tra loro, e dover usare questo linguaggio per descrivere qualche cosa che è invece unitivo e che trascende questa visione della realtà. Loro ce l’hanno fatta, ma penso che anche noi, che dobbiamo fare molto meno, ce la caveremo. Il primo punto di passaggio importante è stato il Principio di indeterminazione di Heisenberg. Sono costretto, per fare il percorso che vorrei fare stasera e che è molto denso, a darvi varie notizie. Quel che dovete fare però voi non è trattenere le notizie, le nozioni molto superficiali che vi do forse in quantità eccessiva, ma piuttosto se vi riesce di "entrare" nel concetto; cioè non importa che voi tratteniate niente, è sufficiente che percepiate il senso di questo discorso, perché è questo il primo livello per la comprensione della Fisica quantistica. Entrare in qualche modo in questa onda di comprensione, sopra le righe, oltre le parole, sarebbe già catturare un buon livello, un buon risultato per oggi. Il principio di indeterminazione di Heisenberg descrive matematicamente i limiti dell’applicazione dei concetti della Fisica classica al mondo delle particelle, al mondo degli atomi. La Fisica classica ha dei limiti per i quali non la si può applicare al mondo dei fenomeni atomici. Heisenberg, descrivendo matematicamente questi limiti secondo un rigore logico matematico, descrive anche filosoficamente i limiti che l’uomo ha a comprendere questo mondo. Perché in effetti questo mondo è fuori dalla nostra capacità di comprensione essendo fuori dalla nostra esperienza. Il problema è che ogni volta che noi utilizziamo i termini classici, i termini della Fisica classica che hanno un determinato significato per noi, cioè se io dico particella uno può immaginare la particella, come pure se io dico l’onda, il movimento, la velocità, la posizione ecc., tutti sappiamo cosa è l’onda, il movimento, la velocità, la posizione, ecc.. Ma questi stessi termini, applicati alla Fisica quantistica, al mondo dei fenomeni atomici, indicano l’emergere di coppie di aspetti. Mentre nell’uso normale che noi facciamo di un termine quello significa esattamente quello, lo stesso termine applicato al mondo delle particelle fa emergere delle coppie; coppie di concetti o di aspetti, che sono interconnessi tra loro, interconnessi nel senso che dicevo prima e cioè che non sono divisibili, non possono essere separabili perché nel momento che si separano è come se si rompesse qualche cosa che è invece una cosa sola. Quando io dico coppie, voi ed io che cosa immaginiamo? Per esempio una coppia è marito e moglie; è fatta da uno più uno uguale a due e per me, normalmente, è questa la coppia. Qui invece bisogna pensare alla coppia non come 1 più 1 uguale a 2, ma come 2 e basta; e 2 contiene 1 più 1, ma è 2, e se io cerco di scomporlo in 1 più 1 ho già fatto una operazione che non corrisponde al 2. Se io voglio descrivere a qualcuno che non sa, che non l’ha mai saputo, che cosa è il 2, ma sa che cosa è l’l; gli dico: metti 1 e 1 e quello è il 2. Non è giusto; il 2 è un’altra cosa. Il 2 contiene 1 più 1, ma non è la stessa cosa. Il problema è che quando io cerco di descrivere questo 2 con i miei strumenti, con quello che ho a disposizione, l’unico sistema che ho per farlo è fare questa divisione, descrivere prima l’l, descriverlo bene, concentrare la mia attenzione su questo 1 (e così intanto mi perdo l’altro 1) e poi andare a descrivere l’altro 1 e quindi mi distraggo dal primo l; ora, nel mio esempio ho usato 1 più 1, ma nel mondo della Fisica quantistica, nel mondo delle particelle, laddove si parla per esempio di particella e di onda si parla di due aspetti di una stessa cosa. E per descrivere questi due aspetti io non riesco a descrivere insieme onda e particella, per cui cosa faccio? Descrivo prima la particella e poi l’onda o viceversa, ed ecco che nel momento che descrivo la particella mi son perso l’onda, perché introduco elementi di separatività dove c’è unità e non riesco a cogliere la cosa unita. In questo sta l’indeterminazione: nel momento in cui cerco di penetrare questa realtà con gli strumenti che ho a disposizione e mi concentro su un aspetto, per esempio sulla velocità, perdo di vista la posizione; se mi concentro sulla posizione, perdo di vista la velocità; mi concentro sulla particella e perdo l’onda, mi concentro sull’onda e perdo la particella. Non è mai possibile determinare con esattezza per esempio velocità e posizione della particella, o l’una o l’altra. Come mi avvicino all’una perdo l’altra e viceversa. Bohr introdusse successivamente la nozione di complementarità. Intanto c’è una cosa da dire. Abbiamo incontrato a questo livello di realtà la dualità delle particelle. L’aspetto ondulatorio e quello corpuscolare delle particelle atomiche sono perfettamente complementari tra di loro, nessuno dei due è l’intera realtà della particella, e nel momento che utilizzo uno dei due per descrivere la realtà descrivo solo una parte della realtà. Se descrivo la realtà come corpuscolare ho tralasciato l’aspetto ondulatorio, se descrivo la realtà come ondulatorio ho tralasciato l’aspetto corpuscolare. Questo paradosso particella-onda mise in discussione il fondamento stesso della visione meccanicistica del mondo. E qual’è questo fondamento? E’ il concetto stesso di materia fisica. Introducendo questo elemento particella-onda, onda-particella, la fisicità, la solidità, ciò che siamo abituati a considerare come materia fisica scompare. A livello sub atomico c’è solo questo aspetto di dualità. Non esiste la materia in posti definiti con certezza. Non è come dire: ‘questo registratore sta qua’. A livello sub atomico la materia si presenta con una ‘tendenza ad esserci ’. Non soffermatevi sui termini, lasciateli scorrere attraverso la mente, poi diventeranno chiari andando avanti. La materia è presente con una tendenza ad esserci e gli eventi atomici non si verificano con certezza in tempi e luoghi precisi, ma si presentano come una ‘ tendenza a verificarsi ’, c’è solo una tendenza! Nella Meccanica quantistica queste tendenze sono espresse come probabilità. Si dice che vi siano un certo numero di probabilità, secondo la matematica statistica che studia le probabilità, che le particelle si trovino in un determinato punto, che gli eventi avvengano in un determinato momento, e che ci sono alcune probabilità che questo avvenga. La forma associata a queste probabilità è quella dell’onda. Tutto sommato si può capire questo: immaginiamo un’onda; in effetti, nell’andamento di un’onda vi sono probabilità che quella particella, quell’evento, sia in un certo punto di questa onda. Diciamo che in qualche modo l’immagine dell’onda ci può aiutare: non è come un punto (un punto è una cosa esatta e definibile); l’onda di per sé descrive una cosa che non è così precisa, così definitiva. C’è un esempio che può rendere un pochino l’idea di ciò di cui si parla ed è quello di una corda di chitarra in vibrazione. Se noi pensiamo a questa corda di chitarra in vibrazione, che cosa vediamo? Innanzi tutto la corda di chitarra, che è di metallo ed è tesa. Però non stiamo parlando della corda di chitarra, stiamo parlando della corda di chitarra in vibrazione; se io faccio vibrare la corda non la vedo più, scompare, e ho... il suono; il suono cos’è?, da dove emerge?; è la vibrazione della corda: ed ecco che ci sono tutte e due: c’è il movimento ondulatorio della corda che produce il suono e tutti gli effetti connessi e c’è la fisicità della corda, la forma della corda. Nella corda in vibrazione, non pensate a due elementi separati, pensate proprio la definizione ‘corda in vibrazione ’; pensate alla corda che non esista come corda di chitarra ferma, ma esista solo come corda in vibrazione. La corda in vibrazione ha una forma. La particella ha una definizione formale e una dimensione ondulatoria: il suo movimento. Per metterla a fuoco nella mia mente, per capirla, per coglierla devo usare due elementi: la corda (vederla fisicamente) e immaginarne il movimento per individuare l’onda; ma la corda di chitarra in vibrazione è le due cose insieme simultaneamente. Questo è. Ecco come onda e particella possono stare insieme. Le onde utilizzate come struttura matematica per indicare le probabilità - le onde di probabilità - non sono delle vere e proprie onde tridimensionali come l’onda del mare, come le onde che abbiamo descritto la volta scorsa: le onde sonore, le onde luminose ecc.. Sono onde di probabilità. In pratica cosa sono? Sono delle quantità matematiche astratte, che però descrivono esattamente questi fenomeni, e hanno le caratteristiche, dal punto di vista matematico, simile a quello delle onde vere e proprie. Queste onde di probabilità sono connesse alle probabilità di trovare le particelle in particolari punti nello spazio e anche in tempi particolari; descrivono questo. Tutte le leggi della Fisica atomica sono in funzione di questa probabilità. Noi in pratica non possiamo mai predire con certezza un evento atomico, possiamo solo descrivere probabilità dei suo verificarsi. Questo, ovviamente, ha distrutto le nozioni classiche di oggetti solidi perché a livello sub atomico gli oggetti materiali solidi praticamente si dissolvono in probabilità di onde, in modelli di probabilità di onde. Quello che per noi è un oggetto solido, considerato solido, a livello sub atomico è semplicemente un modello di probabilità di onde. Pensate che turbamento c’è stato nella mente di chi andava a indagare queste cose per la prima volta! C’è un altro passaggio che per noi è ancora più importante, ed è questo: questi modelli di onde di probabilità non rappresentano probabilità di cose, come si potrebbe pensare, ma rappresentano probabilità di connessioni tra cose, interrelazioni, relazioni fra cose. Le cosiddette particelle sub atomiche non hanno nessun significato intese come qualche cosa di separato, di isolato, nessun senso; possono esistere solo come interconnessioni, interrelazioni e non esistono in nessun altro modo. Non si può immaginare una particella sub atomica completamente isolata, a sé stante. Bisognerà cercare di capire cosa s’intende con ‘particella’, perché sicuramente particella, almeno a me, e nonostante abbia studiato qualche cosa, continua a richiamarmi l’immagine di un pallino, di un corpuscolo, un qualche cosa. Intanto bisogna staccarsi da questa immagine e pensare alla particella, nel senso della parola, intesa cioè come piccola parte. La parte di un pensiero non è un corpuscolo. Quindi semplicemente il significato in sé della parola, particella, parte, piccola parte. Cominciamo a staccarci dall’immagine che siamo abituati a richiamare pensando alla parola ‘particella’. Dice Bohr "Le particelle materiali isolate sono astrazioni poiché le loro proprietà (le proprietà delle particelle) sono definibili e osservabili solo mediante la loro interazione con altri sistemi. Se non c’è interazione non c’è neanche la particella. Affinché possiamo affermare l’esistenza di questa piccola parte dobbiamo parlare di una piccola parte di interconnessione." Non esiste nessuno di noi che sia completamente solo, isolato e non in relazione. Ognuno di noi è in relazione con la sua fisicità, con il suo aspetto, con il suo mondo interiore, quindi con una dimensione interiore di sé; e poi è in relazione con quello che consideriamo esteriore: tutto ciò che ci circonda, gli altri, tutto ciò che ci accade nella vita. Siamo in relazione con l’aria che respiriamo ed in interconnessione con tutto quanto ci circonda, perché tutto quanto ci circonda ci fa esistere, ci dichiara a noi stessi esistenti e noi, vivendo, dichiariamo esistente tutto quanto ci circonda. E’ una interconnessione che non è qualche cosa che ci potrebbe non essere, è una interconnessione che è la nostra esistenza, la nostra esistenza è fatta proprio di questo. Dicendo ciò non bisogna pensare, ad esempio, alla mia esistenza pensando a me, qui, intesa fisicamente, materialmente, corporalmente; la mia esistenza sta nelle relazioni che ho, che vivo, e solo nelle relazioni essa si estrinseca; cioè in quello che accade fra me e ‘il resto’, è in uno ‘spazio’ che si trova tra me e l’altro, è in ciò che accade tra di noi, e non in noi; è nell’essere in questo spazio, nell’agire, nel partecipare alla vita, nel provare emozioni. Tutto questo noi lo riportiamo in noi, ma non è qui, qui è l’immagine che noi ci siamo fatti di questo vivere, un immagine egocentrata. In realtà il nostro vivere passa attraverso ciò che è nel mezzo, tra ciò che consideriamo staccato da noi e quello che consideriamo essere noi; tutto il nostro vivere è nel ‘momento’ che unisce queste cose che noi viviamo come separate. E’ il nostro essere in relazione la nostra vera vita: noi siamo le nostre relazioni, non siamo altro che questo, siamo solo le nostre relazioni, a qualsiasi livello, sia che ci rivolgiamo dentro di noi, sia che ci rivolgiamo al di fuori di noi; non c’è altro. La fisicità che immaginiamo essere, non è altro che pensata e dichiarata a noi stessi. Spostiamoci a un livello più sottile e scompare quella fisicità. Cosa rimane" L’essere in relazione. Se la ricordate, la legge di analogia è perfetta qui, nella Meccanica quantistica. Bobr dice: "Le particelle materiali isolate sono astrazioni...” così come noi, isolati dal contesto delle nostre relazioni e quindi del nostro vivere, noi siamo astrazioni; nessuno di noi esiste isolato dal contesto. "Le proprietà delle particelle sono definibili e osservabili solo mediante la loro interazione con altri sistemi e cos è di noi. Provate (è una sfida) a immaginare un qualsiasi essere vivente non in relazione con ciò che lo circonda, anche solo fisicamente. Non può essere altro che in relazione. Allora, le particelle sub atomiche non sono ‘cose’, sono ‘interconnessioni’ fra cose e queste stesse cose, a loro volta, sono interconnessioni fra cose. Esistono solo interconnessioni: questo é il punto importante. Ma perché esistono solo interconnessioni? Perché diversamente potremmo immaginare le particelle come qualche cosa di a sé stante, appunto un corpuscolo che sta là. Invece è nella relazione che questo ipotetico corpuscolo crea con un altro ipotetico corpuscolo che c’è la vita, in questa loro relazione, in questo loro stare come presenza non fisica, ma di ‘essere’. Perché i Maestri dicono che il sentire di esistere è l’unico vero modo di essere, di esistere, che si manifesta poi attraverso il sentire in senso lato? Perché qualsiasi condizione di ‘sentire’ la vita è relazione, non è corpo fisico.
Dice ancora Heisenberg: "Il mondo appare così, come un complicato tessuto di eventi, i cui rapporti di diverso tipo si alternano, si sovrappongono, si combinano, determinando la struttura del tutto. La struttura del tutto è un complicato tessuto di eventi.. " Non è ‘roba’ di particelle, come noi abbiamo sempre inteso le particelle; non è la fisicità che noi vediamo e che cerchiamo di immaginare gigantesca per capire il Tutto. E’ un tessuto di eventi; il mondo è fatto di tutto quello che succede; non è un tessuto fatto da quelli che credono di far succedere le cose, ma è fatto dell’agire, del sentire degli eventi che accadono. In effetti il sentire si manifesta attraverso l’azione, si manifesta attraverso il vivere, attraverso l’azione emotiva, attraverso l’azione di pensiero, del fare, dell’agire; è tutto quello che noi percepiamo come esistenza e che passa attraverso l’azione e gli eventi. E’ questo che struttura il nostro ‘tutto’. Ciò che noi viviamo come solido è quindi in realtà un tessuto di eventi. Possiamo immaginare gli eventi come azione/movimento vorticoso di particelle a un certo livello; movimento vorticoso di un corpuscolo attorno a un’asse, all’interno di un orbita. E vedremo poi in seguito come si muovono queste particelle.
Kempis ci fornisce un’immagine: ‘La materia fisica per voi è qualcosa di concreto che occupa uno spazio, e dirvi che in sé la materia non è affatto concreta come voi la percepite, che lo spazio non è un ente oggettivo, è un po’ votarsi a non essere creduti. Supponete di prendere un asse e di fissarla ad un estremo e di farla girare vorticosamente. La velocità impressa all’asse, secondo una diversa misura, dà effetti diversi in rapporto al tempo di persistenza della sua immagine sulla retina dei vostri occhi. ’
Per esempio l’asse può diventare praticamente invisibile; quando ruota ad una certa velocità scompare alla nostra vista; ma anche quando diventa invisibile non diventa intangibile, anzi occupa uno spazio che comprende tutta la circonferenza perché la sua velocità è tale che in qualsiasi punto io incontro sempre l’asse. E’ talmente veloce che io incontrerò sempre quella materia, che però scompare alla vista. Allo stesso modo gli atomi della materia si possono paragonare alla circonferenza descritta dalla nostra asse. Se le particelle che la compongono non ruotassero vorticosamente la materia sarebbe intangibile; è la velocità di queste particelle che fa esistere la mia mano, il tavolo; è qualche cosa che girando ad una certa velocità consente all’immagine di fissarsi nei miei occhi e io creo, con lo strumento della vista, una dimensione visiva dell’ambiente in cui mi trovo. Il tatto, altro strumento che ho a disposizione, incontra una velocità delle particelle tale che mi consente di ‘toccare’ la materia che altrimenti sarebbe intangibile ad una velocità diversa. Immaginiamo, che so, una pallina che gira vorticosamente, immaginiamo di vedere il vortice, questo vortice che gira a una velocità che ci consente l’esperienza di incontrare qualche cosa che chiamiamo ‘materiale’. Questo che noi chiamiamo materia, materiale, è fatto di vortici. A loro volta le particelle che compongono gli atomi sono assai meno materiali di quello che appaiono essere, poiché anch’esse sono non particelle ma orbite descritte da corpuscoli. E poi bisognerà vedere i corpuscoli. Ancora una serie di vortici, uno più veloce dell’altro, contenuto dall’altro, che arriva a una determinata velocità tale per cui io possa fare ‘l’esperienza della materia ’. L’universo, dicono i fisici dalla metà del secolo scorso in poi, è un tutto unificato ’ e che, a un dato livello, se ne può fare una esperienza come diviso in parti separate, in oggetti fatti di molecole, di atomi, ma come si scende al di sotto di questo livello la nozione di parti scompare, viene meno, non c’è più. Le particelle sub atomiche, e quindi tutte le parti dell’universo, non possono essere intese come entità isolate; devono essere intese solo attraverso le loro interrelazioni, solo lì e così.
Henry Stapp afferma: “Una particella elementare non è una entità dotata di una esistenza indipendente; essa è essenzialmente un insieme di rapporti protesi all’esterno verso altre cose.”
Gregory Bateson: “Ogni cosa dovrebbe essere definita non per ciò che appare in sé stessa ma per mezzo dei suoi rapporti con le altre cose .”"
E’ un passo ancora oltre a come noi interpretiamo la vita; noi interpretiamo ancora la vita attraverso la descrizione di noi come forma, oggetto, corpo, qui si dice che bisognerebbe arrivare a descrivere ciò che adesso descriviamo in questo modo, attraverso i rapporti che questa forma ha con ciò che lo circonda, con le relazioni che ha; ed è vero, perché il sentire passa attraverso le relazioni: è questo che descrive la vera essenza di un essere.
Veniamo alle variabili locali e alle connessioni non locali. Nella Fisica classica ci si serve delle probabilità ogni volta che tutti i particolari meccanici che intervengono in un fenomeno non ci sono noti. Per esempio se io getto un dado, per descrivere quale faccia verrà verso l’alto dovrò avere a disposizione una quantità enorme di elementi: la superficie su cui rotola il dado, l’inerzia, le resistenze che incontra, la sostanza di cui è composto il dado; tutti gli elementi che, partecipano a questo fenomeno cinetico, fisico, che fa si che il dado venga a un certo punto con quella faccia rivolta verso l’alto. Tutti questi elementi vengono chiamati variabili locali. Sono tutti questi elementi che intervengono affinché accada un determinato fenomeno in un certo modo. Queste variabili locali sono importanti sia nella Fisica classica (che è quella che normalmente utilizziamo) e sia nella Fisica quantistica, solo che nella Fisica quantistica queste variabili locali si chiamano connessioni e sono connessioni fra eventi spazialmente separati da ‘segnali’ che possono essere particelle, reticoli di particelle, e questi rispettano comunque le leggi usuali a cui noi siamo abituati, che sono quelle della separazione spaziale; per esempio sono eventi che rimangono comunque dentro la velocità della luce; quindi connessioni all’interno di questi eventi. Ma oltre a queste connessioni locali che valgono anche per la Fisica delle particelle, ce ne sono altre chiamate connessioni non locali. Queste connessioni non locali sono istantanee e non possono essere prevedibili. Questi sono due caratteristiche importantissime e a noi servono per capire alcuni aspetti, anzi per fare una analogia con alcuni aspetti dimensionali. Diciamo che ogni evento è influenzato dall’intero, universo e se anche non siamo in grado di descrivere questa influenza in tutti i particolari noi (i fisici) siamo in grado oggi di riconoscere un certo ordine che può essere espresso nei termini delle leggi matematiche tradizionali. Pensiamo ai rapporti che ci sono fra individuo e individuo e fra individuo e cose nel mondo fisico; questi rapporti paiono muoversi sullo sfondo di leggi che noi conosciamo: sono le nostre leggi conosciute. Talvolta, anche se raramente, accade il precipitare dentro a queste leggi che noi conosciamo, che sono le leggi del vivere normale, di eventi, di occasioni, di fatti che in qualche modo sfuggono a queste leggi. Quando sono piccole cose noi le accettiamo. Però queste anomalie ci colpiscono di più quando intervengono quei fatti straordinari che ogni tanto capitano; cose veramente eccezionali: ad esempio, precipita un aereo da 5000 metri, si schianta a terra, muoiono tutti gli occupanti. Tutti quanti tranne uno, che si salva. Questo è un fatto che non sta nelle nostre regole, che esce da qualsiasi statistica; esce, oltretutto, da qualsiasi probabilità di sopravvivenza date le condizioni; un fatto di questo genere non risponde alle regole comuni della nostra logica, ne è completamente al di fuori, esce dalle regole del vivere comune, di tutte le nostre leggi. Non sto parlando di cose fantasiose, sono fatti accaduti. Interviene qualche cosa che si sottrae a queste leggi, come le conosciamo, e che non risponde alle connessioni locali, come le chiamano i fisici. Le connessioni locali sono che l’aereo precipita, si frantuma in mille pezzi, e muoiono tutti (non può essere che così dati gli elementi in gioco) ... tranne uno! Come mai questo evento non risponde alle connessioni locali? Perché intervengono altre regole, dicono i fisici; regole universali, (noi diciamo: le regole del cosmo, il quale non prevede per quell’unica persona il trapasso in quei momento, semplicemente questo), come invece vorrebbe tutto il repertorio delle nostre leggi, quelle conosciute, che descrivono le condizioni, secondo noi normali, per cui una cosa deve succedere in quel modo. Queste connessioni non locali, come si diceva per le particelle atomiche e sub atomiche in che cosa intervengono in un tessuto che è a noi familiare? Non è che intervengono in un modo anormale, nel senso che il tizio che non muore comincia a volare con le alucce sopra l’aereo e cala giù a terra. Non avviene questo; avviene secondo dei parametri normali, sottraendosi però a quella conclusione che dovrebbe essere la conclusione uguale per tutti, in quella condizione. Questo fatto avviene dentro la velocità della luce. Ciò che avviene accade secondo determinate regole, però avviene come comandato da qualcosa d’altro. Noi dicevamo più su che l’evento è influenzato da tutto l’universo ed è proprio per questo che le connessioni non locali non sono prevedibili; perché, se influenzato da tutto l’universo e le connessioni non locali sono un parto dell’universo intero, noi non le possiamo prevedere: sono fuori dal senso comune, dalla logica delle connessioni locali che sono quelle legate a noi, che sono la nostra espressione del vivere comune. Ovviamente la realtà che conosciamo non contiene tutto l’universo. E’ solo "l’universo" che ha la visione complessiva; noi abbiamo solo la nostra visione limitata della realtà, quel limite di cui si parlava prima, ne parlava Heisenberg descrivendo la limitazione matematica e filosofica dell’uomo a contenere la realtà che sta oltre i suoi limiti. Queste connessioni non locali appartengono a una logica che sta oltre la nostra logica, appartengono a leggi ‘superiori’, non intese come “di un valore più alto”, semplicemente leggi che contengono le nostre leggi. Dobbiamo pensare che le leggi che noi conosciamo ci descrivono il mondo ‘sempre in ritardo’; le cose nuove che avanzano verso di noi non sono codificate. Noi descriviamo sempre la realtà, e la viviamo, sulle basi di qualche cosa che ci viene sempre dal passato. Quel che viene davanti a noi non lo conosciamo. C’è da fare l’analisi, lo studio, la codifica di una legge che descriva questa novità, che una volta codificata come legge deve diventare patrimonio di tutti quanti, quindi deve essere metabolizzata, poi deve diventare la realtà a cui tutti aderiscono e infine diventa la normalità della vita di tutti e la chiamiamo “la nostra realtà”. Ma nel momento in cui quella diventa ‘la nostra realtà’ le leggi che descrivono quella realtà sono già vecchie. C’è già altro nuovo che avanza verso di noi, che siamo sempre impreparati ad accogliere questo nuovo, perché le leggi sono un sistema chiuso, potremmo dire di apertura e di chiusura, un sistema chiuso che ogni tanto si apre affinché vi sia la ‘presa di coscienza ’, cioè portiamo dentro la luce della nostra coscienza (conoscenza, consapevolezza..) qualche cosa che viene dal buio di ciò che sta oltre, di ciò che ancora non abbiamo incontrato e che quindi non conosciamo. Tutto questo processo in campo scientifico è la normalità, solo che la gran parte degli scienziati lo dimentica e afferma le cose come chiuse, come se fossimo arrivati al traguardo. E’ un errore perché la vita va sempre avanti e il nuovo avanza sempre e quindi i fisici e gli scienziati sono sempre molto indietro rispetto al nuovo che avanza con una velocità incontenibile; questo nuovo è qualche cosa che è proiezione stessa dell’essere, della manifestazione dell’essere. E chi è che contiene gli elementi di tutto questo nuovo che avanza verso di noi, e che, in un certo senso, lo sospinge verso di noi? ... La Coscienza Cosmica o, dicono i fisici è “l’intero universo” . E’ lì, nella Coscienza Cosmica, che stanno tutte le connessioni non locali. Quelle che sono proposte dai fisici come connessioni non locali e che in realtà ci descrivono degli elementi che hanno a che vedere con molti aspetti dell’Insegnamento. Proveremo a toccarne alcuni. Domanda (?)
Risposta L’universo per i fisici è tutto quello che loro possono immaginare come universo astronomico e anche come condizione nel mondo, c’è gia anche una valutazione filosofica da parte loro; l’universo è anche una visione del mondo, non è solo ciò che vedono col telescopio, non è solo l’universo fisico, i pianeti, le stelle i sistemi astronomici ecc.
Ma torniamo ai fisici che attraverso le loro relazioni matematiche penetrano nel tessuto degli eventi che avvengono e delle loro interconnessioni; i fisici riconoscono che c’è un ordine che guida tutto questo sistema di eventi e quando c’è una connessioni non locale, che sfugge alla logica dei loro calcoli, e quindi è paradossale secondo le leggi della Fisica classica alla quale siamo abituati, loro comunque riconoscono “l’ordine superiore” che governa quella connessione non locale. Esiste ordine nell’universo, nei sistemi astronomici, come nei sistemi sub atomici, un ordine che non dipende dall’uomo, un ordine che sta oltre le leggi dell’uomo; questo afferma oggi la Fisica. Solo una Legge superiore e complessiva può conoscere e regolare tutto questo ordine (lo dicono i fisici ma anche i Maestri), e questo ordine è anche nella corretta successione e interconnessione degli eventi. Solo un Organismo che comprende tutto, può conoscere, avendoli tutti simultaneamente presenti a Se Stesso, ogni evento, regolarlo e ordinario secondo la sua Legge; e quindi ogni connessioni non locale porta in sé quella Legge, corrisponde e si muove secondo i criteri di quella Legge superiore.
Andando avanti con lo studio noi vediamo che cosa succede, come si diceva prima, delle leggi che noi codifichiamo e poi diventano la normalità del nostro vivere; quante! leggi della normalità del nostro vivere, leggi scientifiche, al momento in cui sono state codificate, erano rifiutate! perché sembravano fuori di qualsiasi logica. La nostra logica ancora non contiene la realtà della Fisica quantistica. La nostra logica è ancora in difficoltà di fronte a questi continui paradossi. Però, guardando le leggi precedenti, noi vediamo che ciò che adesso è diventato nostra realtà e che contiene quelle leggi che prima sembravano paradossali, oggi, per la nostra realtà, sono addirittura ovvie, fanno parte del senso comune, non sono neanche più ‘leggi’, non fanno nemmeno più riflettere... Quel che è da capire bene è che le leggi che noi codifichiamo sulla scorta delle connessioni non locali che intervengono e che piano piano metabolizziamo e facciamo diventare nostre, sono sempre parziali perché c’è sempre una legge ulteriore che promuove per noi altre connessioni non locali. Il fatto è che ogni evento, siccome rispecchia quella legge e quell’ordine, partecipa di tutto il disegno, ogni evento che accade partecipa di tutto il disegno. Proprio perché rispecchia quella legge e quell’ordine che proviene da tutto il disegno. Dicendo che è l’universo intero che partecipa di un evento, cioè che informa della sua legge e del suo ordine quegli avvenimenti che a noi sfuggono e che sono influenzati da connessioni non locali, dicendo questo noi diciamo che quegli eventi che accadono, accadono secondo quella legge. Ma se accadono secondo quella legge quegli eventi partecipano di quella legge. Ecco come tutto l’universo è ‘presente’ in ogni evento. Ecco cosa stanno affermando i fisici adesso, lo affermano esplicitamente: tutto l’universo partecipa di ogni singolo evento e ogni singolo evento partecipa di tutto l’universo. Si torna al fatto che tutto è un tessuto di eventi che struttura l’intero universo. Il tessuto di eventi che struttura l’intero universo. Il vero esistere è il tessuto degli eventi e questi sono la struttura stessa dell’intero universo. Che cosa hanno scoperto ancora i fisici? La simultaneità. Faremo un viaggetto dentro l’esperimento EPR e vedremo che, grazie a questo esperimento e al successivo teorema di Bell, i fisici sono arrivati a comprendere come queste connessioni non locali avvengano in una condizione di simultaneità, di istantaneità, anche a grandissime distanze spaziali. L’utilizzo della probabilità statistica nella Meccanica quantistica, non equivale alla probabilità che si applica alla Fisica classica, perché nella Fisica classica si calcolano le probabilità con cui possa uscire la faccia di un dado piuttosto che un altra in virtù di tutti i dati che abbiamo a disposizione, mettendo insieme tutta una serie di elementi chiamati variabili locali. Nella Fisica quantistica le connessioni non locali non sono prevedibili, escono dalla probabilità, e le connessioni non locali sono riconosciute come elemento essenziale di quella dimensione, ed elemento essenziale della connessione coi tutto. Ciò che viene studiato come probabilità sono tutti i fenomeni sui quali si può applicare un calcolo di probabilità con le variabili locali, che in questo caso si chiamano connessioni locali. Già un fondamento della Fisica quantistica quale il “principio di indeterminazione” dichiara di per sé che gli eventi e i componenti di questi eventi non sono determinabili con esattezza. Si esce dalla logica dei vivere classico e si entra in una logica di eventualità, di probabilità. I Maestri direbbero, e più avanti vedremo, di potenzialità che si traduce in atto, c’è la potenzialità di un sentire di coscienza che si traduce in atto attraverso il suo manifestarsi in eventi. I fisici stanno studiando il repertorio delle potenzialità e verificando secondo le probabilità statistiche il loro realizzarsi e tradursi dalla potenza in atto. C’è un esperimento chiamato EPR (Einsteín Podolskj Rosen); fu un esperimento sostanzialmente mentale ed era stato elaborato per dimostrare una certa contraddizione nella teoria di Bobr. E’ successo che pochi anni dopo Bell, col suo teorema, ha dimostrato invece, che questo esperimento era a favore di Bohr. è un esperimento che ci fornisce un esempio di come la nostra intuizione della realtà, di ciò che sentiamo come realtà, possa entrare in contraddizione con i fenomeni quantistici. Una versione molto semplificata di questo esperimento prevede l’utilizzo di due elettroni ruotanti. Volevo qui introdurre pochissimi elementi per afferrare l’essenza della situazione per la quale ci vuole un piccolissimo sforzo di immaginazione, di fantasia. C’è un qualcosa che ha a che vedere con la rotazione di una particella sub atomica e che si chiama spin. Raffiguriamoci una trottola che gira intorno a un’asse, anche se è una descrizione molto superficiale. Chiamiamo spin questa particolare caratteristica di un elettrone che quando ruota ha la tendenza a ruotare come se ruotasse intorno a un asse, un asse che però non esiste, come è invece nella trottola. Nel caso di un elettrone, lo spin dell’elettrone è ristretto a due valori: può essere o in un modo o in un altro. Sono due valori che gli possiamo attribuire. Cioè, la quantità di spin di rotazione è sempre la stessa, ma la particella può ruotare o in un senso o in altro secondo un asse di rotazione dato: se verticale può ruotare verso destra o verso sinistra. 1 fisici dicono che: con l’asse di rotazione che io do verso destra che chiamo particella a spin in su; io do lo stesso asse di rotazione, ma la particella ruota verso sinistra, lo spin è in giù ... domanda: lo spin è l’asse immaginario? Risposta: l’asse non c’è, per cui chiamiamo spin l’insieme di questa raffigurazione che comprende quantità di rotazione e direzione di rotazione (questa direzione in realtà può mutare a seconda delle condizioni e a seconda dell’asse che stabilisco io). Gli elettroni possono andare in un modo o nell’altro, sono due movimenti contrari fra di loro. Uso il termine contrari perché l’altra volta parlammo di opposti e contrari. La proprietà particolare di un elettrone ruotante è il fatto che questo asse non può essere definito con certezza. Abbiamo detto che gli elettroni presentano, come tutte le particelle, delle tendenze ad esistere, così presentano anche delle tendenze a ruotare secondo certi assi, ma li interviene la matematica statistica delle probabilità che ci dà queste varie possibilità di rotazione secondo assi che, però, in sé non esistono. La cosa interessante è che gli assi di rotazione iniziano ad esistere da un certo punto in poi. Se noi effettuiamo una misurazione su di un elettrone troveremo che ruota nell’uno o nell’altro senso secondo un asse dato. Quando noi effettuiamo la misurazione per un certo asse l’elettrone ruota in un senso o nell’altro secondo quell’asse che a quel punto non è più ipotetico ma manifesto. Lui ha effettivamente una rotazione come se all’interno esistesse veramente un asse che è quello che noi abbiamo utilizzato per la nostra misurazione. Finché noi non operiamo questa misurazione gli assi di rotazione sono ipotetici, nel momento in cui noi effettuiamo questa misurazione e stabiliamo un asse di misurazione per quell’elettrone, esso va in un senso o nell’altro secondo l’asse che noi abbiamo stabilito, deciso di misurare; cioè si comporta come noi abbiamo deciso di effettuare la misurazione. In questo caso possiamo dire che la potenza dell’elettrone a manifestarsi in vari modi si è tradotta in atto secondo il modo che noi abbiamo stabilito che sia. Prima che la misurazione venga eseguita noi non possiamo dire, in generale, che lui ruota intorno a questo asse definito. Ha semplicemente questa potenzialità a farlo. Di fatto cosa succede? Noi stiamo studiando per ipotesi matematiche delle particelle sub atomiche, che sul piano matematico sono virtuali, ma all’atto della misurazione non sono più virtuali, diventano concrete; è come se accondiscendessero alla nostra volontà di misurarle in un certo modo e quindi rispettano la nostra volontà di misurazione; è come se le proprietà di queste particelle emergessero nel momento in cui noi gliele attribuiamo. Se io attribuisco a quella particella la proprietà di avere un certo asse e quindi ruotare o per un verso o per l’altro nell’atto della misurazione, quella la manifesta. Domanda:.
Risposta. Ricordate nella descrizione della creazione/percezione quando si diceva che esiste ciò che è percepito e ciò che percepisce. Le particelle non percepiscono, sono percepite. Essere percepite vuol dire che chi le percepisce introduce ‘del suo’ nel meccanismo della percezione: se io pongo una domanda di tipo corpuscolare a una particella, la risposta che ho è corpuscolare, se gliela pongo di tipo ondulatorio, la risposta che ho è ondulatoria. Tornando all’esperimento. Vi sono dei modi che consentono di mettere due elettroni in uno stato di spin totale zero. Elettrone 1 ed elettrone 2. Che cosa succede? Questi sono due elettroni che compongono un sistema chiuso; uno dei due va in una direzione e uno va nell’altra, cioè uno è spin 10 e l’altro è spin - 10; risultato 0. Lo spin totale di questo insieme di due particelle è zero. Utilizzando uno di questi sistemi per mettere due elettroni in stato di spin totale zero si crea un sistema di particelle chiamato a “spin totale zero”; questo è proprio un sistema chiuso di particelle. Supponiamo di allontanare tra di loro gli elementi di questo sistema di particelle a spin totale zero; allontaniamo gli elettroni uno dall’altro e lo facciamo in modo tale che i rispettivi spin non vengano disturbati. Uno è a spin ‘in su’, l’altro ‘in giù’. I loro spin non vengono disturbati da questo allontanamento. Adesso dobbiamo immaginare che questo spazio che viene posto tra le due particelle sia uno spazio enorme; diciamo che l’elettrone (1) sta sulla Terra e l’elettrone (2) vada sulla Luna; tra loro abbiamo posto una distanza grandissima. I loro spin continuano ad essere uno ‘in su’ e l’altro ‘in giù’ e questo sistema continua ad essere sistema a spin totale zero. Supponiamo che venga fatta l’osservazione dello spin della particella (1) che è rimasta sulla Terra; chi fa l’osservazione lo misura lungo l’asse orizzontale e trova che lo spin di (1) spin su’. Poiché la somma dello spin delle due particelle è zero, questa misurazione fatta sulla particella (1) che sta sulla Terra ci dice che lo spin della particella (2) sulla Luna è in giù, non ci piove. Allo stesso modo se noi decidessimo di misurare lo spin della particella (1) lungo la sua orbita orizzontale, vedremmo che questa gira verso destra e allora l’orbita dell’altra deve essere verso sinistra. La teoria quantistica ci dice che in un sistema di particelle avente spin totale zero, gli spin delle due particelle che, ruotanti attorno a un asse qualsiasi, fanno parte di quel sistema saranno sempre correlati, cioè opposti, e questo anche se prima della misurazione esistono solo come ‘tendenze a esistere’. Se anche prima della misurazione queste particelle esistono solo come tendenze, nel momento che di un sistema noi misuriamo un elemento, questo elemento ci dà la misurazione anche dell’altro elemento. Vi sono due aspetti importanti in questo esperimento: uno, ed è rilevantissimo, è che l’osservatore è libero di scegliere l’asse di misurazione; nel momento che lo sceglie è come se ‘desse vita’ a un elettrone con un determinato spin; l’altra cosa è che una volta fatta questa scelta la misurazione trasforma in certezze le tendenze; in un certo senso è come se ‘fissasse’ tutte queste tendenze, ne agguantasse una e la facesse diventare reale: l’osservatore trasforma. la potenzialità a ruotare della particella su qualsiasi asse nella rotazione sull’asse scelta dall’osservatore e quindi questa partIcella passa dalla virtualità della potenza all’atto della manifestazione, attraverso l’osservatore. L’altro punto cruciale è che noi possiamo scegliere il nostro asse di misurazione all’ultimo minuto, quando già le due particelle sono una sulla Terra e l’altra sulla Luna. Nel preciso istante in cui io faccio la misurazione lungo l’asse verticale della particella (1) e lo scopro a spin in su, sulla Luna l’altra particella è a spin in giù. 11 problema è che lo nella mia misurazione incontro solo la particella (1) perché l’altra sta sulla Luna. Come fa la particella (2) che si trova sulla Luna ad avere in un tempo simultaneo l’informazione che la fa essere contraria all’altra particella dei sistema cui lei appartiene? E’ questo il problema che posero Eistein, PodoIsky e Rosen a Bohr e che Bell dimostrò matematicamente con il suo teorema due anni più tardi. Bohr poneva la questione delle connessioni non locali e Einstein e compagni dicevano: ma non c’è nessuna informazione che può raggiungere qualche cosa di così lontano. La Luna dista 384.000 km dalla Terra, quindi neanche con la velocità della luce (cioè 300.00 km al secondo, per cui sarebbe passato già più di un secondo), nel momento in cui io faccio la misurazione sulla particella (1) istantaneamente la (2) si manifesta come facente parte di quel sistema e quindi con le caratteristiche contrarie a quelle della (1) che è l’altro elemento del sistema. Einstein diceva che questo non è possibile questo perché non c’è nessuna informazione che può viaggiare a quella velocità. E in effetti nessuna informazione viaggia a quella velocità perché non deve viaggiare nessuna informazione. C’è la connessione non locale che interviene, che non fa parte delle variabili locali, che invece venivano prese in considerazione da Einstein, il quale ora comunque rimasto legato a una visione d’insieme del mondo cartesiana, come elementi tra loro separati e legati tra di loro al massimo da informazioni che viaggiavano dentro il cono della luce di cui parlammo la volta scorsa. Benché le due particelle siano molto lontane tra loro nello spazio, sono legate da connessioni non locali istantanee. Stapp conclude, rispetto a questo esperimento: ‑“Il teorema di Bell dimostra la verità profonda che il mondo è o fondamentalmente senza legge o fondamentalmente indivisibile ”. Siccome è apparso evidente agli stessi fisici che hanno prima intuito poi verificato matematicamente l’ordine che sottende a tutti questi interventi di connessioni non locali, cade uno degli elementi alternativi proposti da Stapp. Quindi il mondo non può essere senza legge, ma è fondamentalmente indivisibile . L’esperimento EPR ci propone una serie di analogie per quanto riguarda la legge di causa ed effetto, l’eterno presente dei Maestri, la ricaduta del karma, ci sono veramente molte cose da vedere. Questo esempio del comportamento di un sistema chiuso di particelle nelle quali quando una delle due assume un determinato valore automaticamente e simultaneamente l’altra ha un valore collegato a quella, che cosa ci richiama alla mente? Pensate: in una visione di totale e simultanea presenza del tutto, un’azione che è compiuta apparentemente nel tempo determina un effetto che noi consideriamo successivo: legge di causa/effetto, come successione, come effetto successivo alla causa. In realtà questo effetto non deve attendere nessun tempo per essere. Il fatto è che causa/effetto non sono altro che gli elementi di un sistema chiuso e collegato. E’ un sistema chiuso come quello dell’esperimento EPR ed e collegato da connessioni non locali e non temporali, non c’è un Signore, del karma, ne altra figura, non c’è una intelligenza che debba prendere delle decisioni e distribuire nel corso del tempo gli effetti karmici in modo giusto ed equilibrato; non c’è. Il semplice muovere una causa reca in sé e simultaneamente l’informazione che si esprime nell’esatto effetto, simultaneamente. Perché? Perché quell’effetto è parte stessa del sistema chiuso causa/effetto, che non è quindi un sistema costituito da due elementi che noi vediamo separati, ma è un unico sistema, è un sistema chiuso causa/effetto, un unico `evento’, potremmo dire, per il quale potremmo usare un’unica parola ‘causa-effetto’. Cosa che noi non possiamo percepire; noi possiamo vivere o la causa o l’effetto. Ci sfugge questo elemento di unione, questa caratteristica di parti inscindibili e simultanee di un sistema chiuso e non scomponibile da altro che dalla nostra percezione che impone il limite della dualità e quindi della separatività (in questo caso percependo come parti separate ciò che è un sistema indivisibile): è la connessione non temporale che lega questi due elementi nel mondo dell’apparenza, nel divenire, in ciò che noi viviamo come espressione limitata, come espressione parziale; ma sul piano del Tutto, sul piano universale su cui si sono spostati i fisici, la presenza di tutte le cause e di tutti gli effetti è simultanea. E ogni causa manifestata ha istantaneamente e simultaneamente la presenza del suo effetto esattamente correlato. Noi qua lo sperimentiamo con le variabili locali; lo possiamo constatare continuamente: se io apro la mano che tiene il libro, questo cade, causa/effetto. Qui è immediato e evidente il legame, e sta tutto contenuto dentro la mia consapevolezza di questo momento. Ma la stessa cosa, se deve produrre un effetto che è contenibile, come risposta, solo da una coscienza più ampia ( perché la mia, adesso, non la può contenere) che cosa succede? Che io sono consapevole esclusivamente della causa; altrove, per quella legge karmica che tutti conoscete, qualcuno è consapevole solo di un effetto; così come quando ci succede qualcosa, noi diciamo, è la ricaduta di un effetto; ma non è una ricaduta che ha bisogno di un tempo per manifestarsi, perché su un piano di esistenza in essere tutto è, e quindi questa connessione che i fisici stanno scoprendo per le particelle è ed è in un sistema chiuso che si chiama causa/effetto e che manifesta se stesso simultaneamente. E’ ovvio che la nostra logica separativa che intende le parti distinte fra sé e separate da quello che le circonda non può che parlare di causa/effetto come entità separate fra loro. Noi non possiamo fare che così. Ma perché la causa ricade in una successione che è in là nel nostro tempo? Come mai l’effetto di qualche cosa accade a noi e quello che l’ha mosso non è raggiungibile dalla nostra memoria? Perché è qualche cosa che è in una condizione non temporale e che manifesta il grado di coscienza che lo può contenere. Ma se io sono in questa condizione in cui io mi trovo adesso, in cui la realtà che esprimo io è quella che passa attraverso le leggi che io ho formulato per il mio vivere e che riguardano sempre il passato, come posso in questa realtà così ristretta, limitata da queste leggi che sono le espressioni del passato, contenere qualche cosa che prevede una coscienza sufficientemente ampia con le leggi che accolgano il nuovo che ancora deve venire? Per questo anche quell’effetto ricade quando la coscienza è pronta ad accoglierlo; perché in quel momento ha in sé realizzato un tipo di realtà che può permettergli di accettare quell’effetto che ricade su di lui. Non è solo una realtà astrofisica o subatomica delle particelle della fisica. E’ una realtà di capacità di contenimento degli eventi che accadono. Perché la nostra realtà noi la stiamo descrivendo in termini di mondo fisico, ma la realtà è fatta di eventi, di emozioni, di partecipazione, di capacità di sostenere sulle spalle dei pesi oppure no; se non abbiamo quella capacità, quell’effetto non lo incontriamo. E questo perché?, Perché queste connessioni non locali sono connessioni legate a quella legge superiore di cui si diceva prima che ha capacità simultanea di distribuire esattamente ciò che va distribuito, e collegare esattamente ciò che va collegato, al di là di ogni tempo e di ogni spazio. Il manifestarsi degli effetti sfugge alla logica di chi non conosce e non può conoscere le connessioni non locali. E’ impossibile. Intervento: la trascendenza .. Risposta: Tutto ciò che trascende è sempre più ampio, e in una visione prima solo filosofica e adesso anche quantistica, come vedremo fra poco, comprende il meno ampio.
Anche nella fisica quantistica i singoli eventi non hanno sempre una causa ben definita. Con ciò che ci viene a noi come effetto improvviso nella vita, inaspettato (non siamo preparati a questo effetto, ci giunge così) non siamo capaci di risalire alla causa. Questo avviene anche nella meccanica quantistica; però la cosa importante è che, dicono i fisici, il non conoscere la causa non significa che questi eventi si verifichino in modo arbitrario, ma solo che non sono determinati da cause locali, niente d’altro piuttosto rispecchiano comunque l’ordine che hanno potuto descrivere matematicamente i fisici. Ovviamente va riscritto, in un certo senso, soprattutto per loro, il tradizionale concetto di determinismo e la successione logica della causa e dell’effetto che vale per noi come concetto, mentre qui stiamo parlando di qualche cosa che interviene nella simultaneità e che interviene secondo una legge che non è la nostra legge comune del vivere normale; qualche cosa che si presenta a noi sotto forma di inaspettato e che non è frutto del caso, ma è frutto di un ordine. E qui si sta descrivendo, per analogia, qualche cosa che ci spiega come funziona questo ordine. Nella fisica degli ultimi anni l’universo comincia ad assomigliare più a un grande pensiero che non a una grande macchina, e questa è stato un punto di svolta. In effetti vi sono anche molte somiglianze tra la struttura della materia è la struttura della mente. Questo particolare non ci dovrebbe sconvolgere troppo, con quello che sappiamo sulla creazione/percezione e quello che ha detto prima Kempis sul fatto di vivere in un mondo tridimensionale perché siamo esseri a tre dimensioni. Dice Kapra: “La coscienza umana svolge un ruolo determinante nel processo di osservazione e nella fisica atomica determina in grande misura le proprietà dei fenomeni osservati Nella fisica atomica i fenomeni osservati possono essere compresi solo come correlazione fra vari processi di osservazione e misurazione e la fine di questa catena di processi si trova sempre nella coscienza dell’osservatore umano.” Abbiamo visto che gli eventi non sono separabili. Gli eventi sono addirittura il tessuto del cosmo, della struttura del cosmo. Tra questi eventi c’è l’osservazione di certi fenomeni, e questi fenomeni esistono in virtù della coscienza dell’osservatore, colui che osserva il fenomeno.
Dom. Se tu avessi altri strumenti daresti a questi elettroni altre leggi.
Ris. Certo; infatti cosa facciamo noi: potendo esistere in un mondo tridimensionale che cosa possiamo immaginare per il movimento di un elettrone? Possiamo immaginare un movimento spaziale di rotazione intorno a un asse, non possiamo immaginare qualcosa che è fuori dalla nostra capacità di immaginazione, che è fuori della capacità del nostro linguaggio, della nostra espressione in questo momento. Non possiamo fare altro. Quindi le proprietà che possiamo osservare e attribuire a quel fenomeno sono nostre. Infatti abbiamo descritto la quarta dimensione matematicamente. Noi conosciamo lo spazio tridimensionale, il tempo è una quarta dimensione di questo spazio. Prima ne aveva tre, ora ne ha quattro. Ma noi non riusciamo ad immaginare questa quadri-dimensionalità. Noi siamo tridimensionali. Non conteniamo altro che come concetto matematico la quadri-dimensionalità ma non riusciamo ad immaginare come possa essere. Dobbiamo fare dei voli fantastici, ma questo non è vivere, sperimentare, trarre fuori dalla realtà la quarta dimensione, ci fermiamo alla terza. Possiamo però, essendo tridimensionali, contenere come concetto e come immagine le due dimensioni inferiori cioè la bi-dimensione e la mono dimensione le possiamo contenere, questo è possibile nell’ampiezza della coscienza che manifestiamo adesso per processo di contenimento. Questo potrebbe spiegare bene un aspetto dell’Insegnamento: tanto volte ci siamo posti il fatto di un sentire che ‘contiene un altro, contenerlo anche in questo senso: non è che noi conteniamo una bi- dimensionalità nel senso che noi viviamo una bi-dimensionalità perché la vive ciò che è bi-dimensionale, e noi questo non possiamo farlo; però possiamo ‘contenerla’ e riuscire a capire cosa è come immagine, come linguaggio, come capacità di comprensione, anche come capacità descrittiva ed espressiva in una certa misura: l’abbiamo dentro anche se non possiamo viverla. Questo può dare un po’ il senso di cosa si intende dire con ‘un sentire che contiene per ampiezza l’altro’. Non vuol dire che è l’altro, ma che in qualche modo ce l’ha dentro come conoscenza, come ricchezza, come risorsa.
Intervento ….. Ris. Vi sono livelli diversi di interpretazione della realtà. Se io concentro la mia attenzione sulla realtà vicino a me e su ciò su cui io posso intervenire, questo ha a che vedere con le variabili locali. Ciò che agisce al di là di questo ambito ha a che fare con quello che i fisici chiamano le connessioni non locali. Noi le possiamo tradurre per esempio come manifestazione di un sentire più ampio. La connessione non locale noi la possiamo chiamare semplicemente manifestazione di un sentire più ampio. Ovvero un grado di coscienza più ampio che manifesta sé stesso attraverso qualcosa di nuovo che prima, per noi, era inconcepibile e che adesso entra a far parte della nostra coscienza, della nostra esperienza, che si traduce nei termini della nostra esistenza. Però la cosa importante non è solo questa; è capire che questo che accade non è casuale o arbitrario, ma è governato da delle leggi. E’ questa la cosa importante Intervento …
Risposta: “Ricordate la volta scorsa, quella che io vi lessi come una promessa fatta da Kempis: “chi vi dice che da qui a poco l’uomo non cambi il suo punto di vista e quindi non cambi la realtà nella quale vive?”. La nostra esperienza della realtà è già cambiata tantissimo rispetto a poche centinaia di anni fa; rispetto a prima la nostra esperienza di realtà è di una vastità enorme perché sono cambiati i punti di vista della realtà. Infatti perché non possiamo fare una trasposizione storica di noi stessi nel passato? Perché la visione della realtà che avevano loro non è la visione che possiamo avere noi immaginandoci come saremmo noi dentro a quel passato, è un’altra cosa, è come quando si fa l’esempio di noi stessi che ci immaginiamo come può essere l’esperienza di un non vedente, la quale non è la nostra meno gli occhi; è un’altra dimensione, un altro mondo che non è immaginabile da noi. Siccome poi voi sapete che l’esperienza di ogni uomo è la sintesi di un sistema percettivo, non è la somma dei singoli elementi percepienti, non è la somma del tatto, degli occhi ecc. ma è la sintesi di tutto questo, e la sintesi di un elemento in meno è sicuramente diversa e per noi inconcepibile.” Intervento ...
Risposta: “I fisici ritengono che tutto questo mondo che si manifesta sia regolato da delle leggi e quindi questi eventi che si manifestano devono rispettare quelle leggi. E’ come se ci fosse una legge al di sopra che obbliga questi eventi al rispetto di quelle condizioni. Mentre invece quello che diceva prima Kempis è che in realtà ognuno di questi elementi che compone la realtà della quale noi facciamo esperienza ha in sé questa legge; è un movimento intrinseco; più avanti vedremo che c’è un punto in cui si parla di una coerenza intrinseca di queste particelle e di tutto l’universo. Questa coerenza intrinseca non richiede il rispetto, da parte delle particelle - o di una persona, o di un evento - di una legge interna a sé, è la sua coerenza intrinseca che fa manifestare sé stessa esattamente come deve perché esprime sé stessa, e così quella è la sua naturale espressione, non c’è un sistema che deve adattarsi a uno affinché quell’uno faccia la sua esperienza; c’è piuttosto il manifestarsi per ognuno della (per usare i termini dei fisici) sua coerenza intrinseca, e questa coerenza intrinseca compone un disegno che è universale. Il disegno universale: per esempio, affinché tu sia seduto là dove sei oggi, in quel certo punto della stanza, in un certo ordine di relazioni con tutti quelli che sono attorno a te, bisogna che ci sia tu seduto e che tutti gli altri siano al loro posto, partecipanti in un certo loro modo a questa serata affinché questo evento per te si compia così come si sta compiendo. Se tu sei l’estrinsecazione di ciò che è dentro di te, rispettando la tua coerenza interna trovi questa situazione intorno a te che ti consente questa espressione, ma della quale al tempo stesso tu partecipi come evento di tutti perché se mancasse la tua espressione questo insieme che partecipa della tua esperienza non sarebbe quello che è.
Intervento: “Allora la Legge non è qualche cosa al di fuori, anche se questa di cui si parla è una Legge Superiore; non è qualche cosa che sta sopra come una cappa, ma è una legge intrinseca ad ogni elemento della materia, delle particelle sub-atomiche, della quale però noi uomini, come partecipanti di questo sistema qui non riusciamo a dare una spiegazione secondo connessioni locali. ”
Risposta: Certo noi viviamo le variabili locali, non viviamo le connessioni non locali. La parola giusta è l’imprinting. L’imprinting di questa Legge è all’interno di ognuno che viva, di ogni elemento che fa parte della manifestazione. Ogni elemento contiene questo imprinting, ma lo esprime parzialmente, essendo limitato. Se vogliamo vedere la Legge estesa a tutto il suo insieme dobbiamo portarci su un piano di simultaneità dove il cosmo è tutto manifestato; allora vediamo la Legge tutta dispiegata, tutta realizzata simultaneamente e così è in una condizione di simultaneità. In una condizione invece come la nostra, in cui noi viviamo attraverso il tempo, e quindi viviamo gli eventi in successione, non possiamo che esprimere quella coerenza intrinseca, e cioè secondo l’imprinting di quella Legge complessiva, la parte parziale che ci è data di esprimere. Non potendo contenere quella complessiva. Però siamo espressione di quella, quindi rispettiamo quell’ordine; ma, come abbiamo detto, non lo rispettiamo come un dettato da fuori, lo rispettiamo come nostra espressione interna della Legge. Intervento: …
Risposta: “Una cosa è l’interpretazione che noi facciamo dell’esistenza. Diciamo che un essere limitato, come siamo tutti noi (possediamo un corpo, stiamo dentro uno spazio fisico, abbiamo enormi limitazioni), ogni essere limitato non può che esprimersi attraverso la limitazione di ciò che è, e non attraverso l’onnicomprensiva ampiezza del sistema di cui fa parte, tanto è vero che quando l’aereo cade e si salva solo uno dei passeggeri siamo di fronte alla dimostrazione che c’è qualche cosa che va oltre alle limitazioni di quell’uomo che si salva, perché le sue limitazioni lo farebbero morire assieme a tutti gli altri. C’è qualche cosa oltre la limitazione di quell’essere per cui le leggi che gli esseri limitati si danno e che considerano normalità del vivere comune, in realtà vengono superate da qualche cosa d’altro, ed è un qualcosa che quell’essere limitato non può contenere. Quello che sono riusciti a fare questi fisici è capire questo meccanismo, capire che c’è qualche cosa di universale che regola il particolare, e che quel particolare è un quid che è in potenza e che si traduce in atto quando si manifesta come limitazione. Questa la traduzione che è stata fatta dai fisici che è abbastanza verosimile, nel senso che effettivamente noi ci rendiamo conto, e per insegnamenti come questo del Cerchio e per altri, o per le scoperte scientifiche, che effettivamente c’è un ordine universale che noi non consideriamo più esterno, ma noi ci consideriamo parte di questo ordine. Bisogna tornare a quello che si è detto all’inizio: il vero esistere di ogni parte limitata, di ogni espressione limitata di coscienza, di ogni essere umano, non è il corpo fisico che sopravvive all’incidente, ma è le sue relazioni , è il vivere di questa persona. Questo vivere passa anche attraverso lo stupore, l’incredulità per quello che è successo. Questo è il vivere di questa persona che manifesta comunque una limitazione, perché nel fare questa esperienza questa persona potrà pensare, per esempio, a un Dio che l’ha salvato, ma non sarà in grado di capire l’intero disegno per il quale lui, unico su cento persone, si è salvato. Anche se eccezionale, sarà comunque una espressione limitata, perché è l’espressione di un grado di coscienza limitato, diciamo noi, o comunque di una particella delimitata da tutto il resto che la contiene contornandola, fornendole i contorni. Quando i contorni ci sfuggono è come se si aprisse uno squarcio nel velo dell’esistenza che ci dicesse: “bambini, avreste detto che il mondo. come ve lo immaginate voi, non fosse proprio così? Ecco, c’è anche dell’altro! ”
I modelli che gli scienziati osservano nella natura sono strettamente, intimamente legati con i modelli della mente, questo ormai l’hanno messo a fuoco; come si diceva prima: “descrivo un elettrone in virtù dei miei modelli mentali”. Questo ci da la misura anche della grandezza di quel gruppo, di quel gruppo di fisici dalle menti davvero notevoli. Persone che sono andate oltre la loro mente. Laddove andare oltre la loro mente non è come per noi andare oltre alla nostra mente, laddove c’è qualcuno che è solo mente, perché un fisico teorico è uno che si siede con le gambe in croce e sta otto ore a guardare un muro bianco e lì lo coglie l’intuizione. E’ uno che è tutto dentro la mente. Pensate che cosa hanno fatto di straordinario questi uomini che hanno superato con uno slancio la loro mente e quindi in una certa misura hanno superato il proprio io. Noi abbiamo visto che la concezione dell’universo come tessuto interconnesso di eventi, di rapporti, è uno dei temi principali di questa fisica quantistica. L’altro tema è che questo tessuto cosmico è intrinsecamente dinamico. Questa è un’altra cosa molto importante. Questo aspetto dinamico della materia sorge, nella teoria quantistica, in conseguenza della natura ondulatoria delle particelle sub-atomiche, e in particolare dalla teoria della relatività che abbiamo visto la volta scorsa. La relatività ci ha dimostrato l’equivalenza tra massa ed energia. C’è un legame stretto tra la massa e l’energia secondo Einstein. La particella sub-atomica (continuate a pensarla come parte non come oggetto) funziona così: quando è confinata in una piccola regione dello spazio, la particella reagisce cominciando a muoversi freneticamente. Bisogna pensare che in questo mondo la maggior parte delle particelle materiali sono tutte confinate, legate a strutture molecolari, atomiche, nucleari e perciò non sono mai in stato di quiete queste particelle. Hanno quella che loro chiamano la tendenza intrinseca ad agitarsi; quindi questa materia è sempre in moto, non si ferma mai. Se proviamo ad immaginare tutte le cose che ci circondano, il tavolo, le cose fisiche, gli oggetti, i corpi stessi, come formati da componenti più piccoli: da molecole, da atomi, da particelle, questi componenti sono in uno stato di moto continuo, una agitazione frenetica. Al nostro livello gli oggetti sembrano inermi, questo tavolo, un sasso, una pietra, sembrano inerti, però se noi prendiamo uno di questi oggetti inanimati, ed vi entriamo dentro, osserviamo in profondità, vediamo che dentro a questi oggetti, che noi consideriamo inerti, c’è un’attività frenetica. Tutto gli oggetti materiali che ci circondano sono di fatto movimento, diciamo atomi connessi tra di loro, e c’è una grandissima varietà di strutture molecolari e tutto è movimento. Tutte queste ‘cose’ vibrano cercando di rimanere sostanzialmente in relazione con l’ambiente termico a cui sono collegate. All’interno di questi atomi vibranti gli elettroni sono legati ai nuclei e anche li c’è questo muoversi frenetico, poi all’interno dei nuclei ci sono le particelle, che sono tenute insieme dalle forze nucleari, che sono ancora più costrette e raggiungono velocità elevatissime. E’ tutto un movimento. La fisica moderna non raffigura più la materia come inerte, come passiva, ma come impegnata in questo continuo moto, questa continua danza, e i modelli ritmici di queste particelle sono determinati dalle configurazioni a cui sono legati, cioè molecole, nuclei, atomi. Tutte le configurazioni messe insieme sono ciò che da il ritmo a questa danza. Quindi non vi sono strutture stabili, vi è solo movimento. Questo stato di cose, però, comunque, induce a una stabilità, noi la materia la vediamo stabile. Questa stabilità in realtà è una stabilità dinamica, è un equilibrio dinamico che dà stabilità alla materia. Riuscite a immaginare l’equilibrio dinamico cosa può essere? Quando vedi uno che va a cavallo, non casca dal cavallo, ci sta sopra, sembra stabile sopra il cavallo. Però la stabilità dello stare sopra il cavallo è determinato dal fatto che se ti muovi insieme al cavallo crei un equilibrio che ti consente la stabilità per stare dove stai. Un altro esempio potrebbe essere la motocicletta dentro un velodromo. Se tu la vedi la motocicletta sta tutta piegata e gira vorticosamente e crea un equilibrio, sta su, ha una stabilità. Però se tu levi la velocità la motocicletta casca per terra, si rompe l’equilibrio dinamico e si perde la stabilità. Quindi questo equilibrio dinamico dà stabilità, stabilità che non vuol dire immobilità, ma trovare il modo di stare su secondo questa dinamicità. Ci sono delle forze, delle velocità, sostanzialmente un movimento. La scoperta che la massa è una forma di energia, perché c’è l’equivalenza tra energia e materia, questa sostanziale equivalenza per cui anche la massa è considerata una forma di energia ci ha costretti a modificare il nostro concetto di particella. Nella fisica moderna questa massa non è più associata a una sostanza materiale. La volta scorsa qualcuno mi chiese cosa era la massa, e io ero un po’ in difficoltà a rispondere perché per far capire cosa è la massa si cerca sempre di dare una indicazione di sostanza materiale. Adesso la massa viene intesa più come fascia di energia, cioè qualche cosa di dinamico che si muove sempre, che esprime sempre dinamismo. In pratica le particelle sub-atomiche sono strutture dinamiche, cioè sono modelli di attività che hanno sia un aspetto spaziale che un aspetto temporale. Il loro aspetto spaziale li fa apparire come oggetti, il loro aspetto temporale li fa apparire come energia. Però energia equivale sostanzialmente ad azione, noi associamo l’idea di energia anche a qualche cosa che viene espresso attraverso un movimento, un moto, un’azione. A questo punto arriviamo alla famosa matrice S e alla filosofia del bootstrap. Prima si diceva che la relatività da una parte ha rilevato il carattere intrinsecamente dinamico in questo tessuto cosmico, dall’altro la quantistica ci ha dimostrato che le particelle non sono elementi isolati, bensì strutture di interconnessione tale che il cosmo è tutta una struttura di interconnessione. Così si diceva: tessuto di eventi. La matrice S è la filosofia del bootstrap che, in una delle sue accezioni, significa appunto coerenza interna. Tra le varie teorie, perché ne sono nate tante di teorie relativistico/quantistiche ve ne è una che è detta della matrice S. L’ha partorita un certo Geoffrey Chew e come fondamento filosofico ha l’approccio del bootstrap. Elaborò questa teoria insieme ad altri fisici proprio per sviluppare una filosofia generale della natura che fosse scientifica e non speculativa. Ecco alcune sue affermazioni fondamentali che si collegano con elementi dell’insegnamento: “La natura non può essere descritta attraverso una suddivisione in parti elementari, ma deve essere intesa esclusivamente attraverso la sua propria coerenza interna.” Quindi non con ciò che appare in parti separate della natura. Noi studiamo la natura individuando un elemento e concentrandoci a fondo su quello. Ogni elemento di questa natura si muove attraverso la coerenza interna che manifesta la natura così come noi la percepiamo. Questa coerenza interna potrebbe essere la Legge di cui si parlava prima, la legge complessiva che si manifesta nella natura nei modi che noi la percepiamo.
E’ ormai evidente come l’universo sia un tessuto dinamico di eventi interconnessi... E questo stasera lo abbiamo approfondito.... “(..)In questo tessuto nessuna delle sue proprietà è fondamentale. Esse seguono tutte dalla proprietà delle altre parti ed è la coerenza complessiva delle loro interrelazioni a determinare la struttura dell’intero tessuto... ” Sta descrivendo il cosmo come lo hanno descritto i Maestri. Il modulo fondamentale del Cosmo (coerenze interne), la coerenza interna è il modulo fondamentale del Cosmo. L’universo è un tessuto dinamico di eventi interconnessi; la vera manifestazione del sentire, dell’essere, del vivere delle persone, di tutti gli esseri, ciò che si manifesta come azione, come dinamismo. In questo tessuto nessuna delle sue proprietà è fondamentale; qualsiasi livello di coscienza, dal punto di vista dell’Assoluto, ha lo stesso valore, ha la stessa importanza, partecipa allo stesso modo al Tutto, tanto che se anche una minuscola particella sub-atomica mancasse crollerebbe l’Assoluto. Esse, per ognuna di queste parti, seguono tutte dalle proprietà delle altre parti; ognuna di queste proprietà segue dalle proprietà delle altre! E’ la successione del sentire. Ed è la coerenza complessiva delle loro interrelazioni, l’insieme delle loro interrelazioni, che è la manifestazione complessiva della coscienza cosmica, l’insieme delle loro interrelazioni a determinare la struttura della realtà.
“(…) Ci si attende che gli aspetti della fisica delle particelle emergano come conseguenza necessaria della coerenza interna...”
Ciò che emerge e che si manifesta è il risultato di quella legge interiore.
“(...) Il fatto che tutte le proprietà delle particelle siano determinate da principi strettamente connessi ai metodi di osservazione implica che le strutture di base del mondo materiale sono determinate dal modo in cui noi osserviamo questo mondo. Le strutture delle materie osservate sono riflessi delle strutture della nostra mente”
Creazione/percezione.
“(…) Si possono creare (possono esistere) una serie di modelli di ampiezza minore, ciascuno dei quali in grado di conseguire un successo parziale (un sentire relativo che manifesta i suoi limiti). Ciascuno di essi dovrebbe coprire solo una parte dei fenomeni osservati (ogni sentire relativo esprime una sola parte della realtà) e dovrebbe contenere un qualche aspetto o parametro inspiegato (ciò che gli manca per raggiungere la completezza; le limitazioni del sentire relativo che si manifestano come espressione limitata), ma i parametri inspiegati di un modello potrebbero essere spiegati da un altro (dall’espressione di un sentire meno limitato o comunque di diversa ampiezza). Così un numero sempre più grande di fenomeni potrebbe essere coperto gradualmente con precisione sempre maggiore (via via che la coscienza si amplia con una manifestazione di sé sempre più tendente alla completezza) potrebbe essere coperto gradualmente con precisione sempre maggiore da un mosaico di modelli ingranantisi l’uno nell’altro (la successione del sentire nella quale il più ampio contiene il più piccolo) il cui numero di parametri inspiegati (le limitazioni) diminuisce costantemente (diminuiscono le limitazioni del sentire). L’attributo bootstrap, coerenza interna, non è mai quindi appropriato per alcun singolo modello. La coerenza interna complessiva non è mai appropriata per un singolo modello (nessun sentire individuale possiede la completezza), ma può essere applicato solo a una combinazione di modelli coerenti fra loro (il comune denominatore) nessuno dei quali è più appropriato degli altri (sul piano assoluto nessun sentire è più importante degli altri).” Questo a volo d’uccello. Ma dove stanno arrivando? Per finire questa paginetta molto interessante che si aggiunge a questa appena letta. E’di Bohm il quale ha introdotto il concetto di totalità ininterrotta. E’ uno dei fisici quantistici che affronta esplicitamente il problema della coscienza e il suo punto di partenza è questa nozione di totalità ininterrotta dove tutto quanto sarebbe una totalità dove non c’è nessun punto di soluzione di continuità. Il suo obiettivo è quello di esplorare l’ordine non manifesto. Questa è un elemento che quattro anni fa introdusse Ceppari a quell’incontro. Lui chiama questo ordine più profondo ‘l’ordine non manifesto’, ‘ordine implicato’ e lo descrive con l’analogia dell’ologramma in cui, in un certo senso, ciascuna parte contiene il tutto. Avete presente come funziona l’ologramma? Se si illumina una parte dell’ologramma si ricostruirà l’intera immagine anche se non con tutti i particolari che si hanno quando invece l’ologramma è completo. Nella concezione di Bohm il mondo reale è strutturato secondo gli stessi principi, che è quanto si dice con l’insegnamento, con il Tutto implicato in ogni parte. Badate che il termine implicato è importante perché non vuol dire che il Tutto è in ogni parte; il Tutto è implicato in ogni parte, ciò è una differenza importante. Intervento … Risposta: Interconnesso è un’altra cosa. Implicato è più che coinvolto perché a me il coinvolgimento fa pensare più a questioni di ordine interiore. L’implicazione è l’averci a che fare, l’esserci come presenza ma non come completezza. Per esprimere la natura dinamica della realtà a questo livello Bohm ha coniato una espressione che è olo‑movimento (da ologramma) e noi saremmo tutti parte di questo olo-movimento. Nella sua concezione è un fenomeno dinamico da cui derivano tutte le forme dell’universo materiale. Noi potremmo spingere oltre il significato del termine prendendoci l’olo-movimento di Bohm, ma già è importantissimo questo: l’olo-movimento è ciò che genera tutte le forme dell’universo materiale. Dice Bohm: “Per comprendere ‘l’ordine implicato’ è necessario considerare la coscienza come un carattere essenziale dell’olo-movimento; e ne va tenuto esplicito conto. Inoltre: mente e materia sono interdipendenti e correlate, sono proiezioni, che si implicano reciprocamente, di una realtà superiore che non è né materia, né energia” Certo che sentire queste cose dai fisici! Abbiamo fatto questo viaggio e abbiamo visto che a livello sub-atomico le interconnessioni, le interrelazioni fra le parti che compongono questo Tutto sono più fondamentali delle parti stesse. Abbiamo anche visto che gli atomi sono formati da particelle, ma queste particelle non sono fatte di sostanza materiale. Anche la particella, come è descritta da Kempis, è una circonferenza. Sono sostanza, ma non nel senso col quale intendiamo noi la materia. Quando i fisici osservano le particelle non vedono alcuna sostanza, osservano strutture dinamiche che si trasformano di continuo l’una nell’altra. Praticamente osservano la danza dell’energia. Abbiamo visto che tutto è moto, c’è solo moto, ma in definitiva non ci sono oggetti che si muovono, questo è molto bello, non ci sono attori, non ci sono danzatori, c’è solo danza in questa realtà. Vorrei chiudere con due versi di Corrado Pavolini: “Ho assistito allo spettacolo dove vicende confluiscono in collettiva volontà di assumerle reali in quella complicità all’illusione senza di cui nessuna umana iniziativa fiorirebbe” Questa è per me una bellissima conclusione perché noi assistiamo continuamente a vicende assumendole come reali, nell’illusione collettiva, nella volontà collettiva che sia così come appaiono, perché se così non fosse il nostro agire nella vita non sarebbe quello che è. Però loro, i fisici, ci stanno aprendo per altri versi la strada che conduce a una visione del mondo che è molto vicina a un certo tipo di realtà, quella che noi chiamiamo la nostra “realtà”. Intervento: “Noi costruiamo una casa secondo leggi che sono tutelate dalla Fisica di oggi; se noi dovessimo badare alla Fisica quantistica questa casa non potrebbe esistere, non ci sarebbe, perché le particelle non sono comprese nella Fisica come noi la intendiamo; in realtà noi viviamo in una ‘casa che non c’è.”
Risposta: “Per quanto riguarda la casa si, perché la realtà che noi viviamo è ancora la nostra’ realtà. E’ come se noi, trovandoci qua stasera e parlando di queste cose portassimo dentro la luce della nostra coscienza ulteriori elementi per comprendere la realtà; quello che stiamo facendo in questo momento è un passaggio attraverso la mente; è il primo passo per incontrare la nuova realtà che dovrà essere per l’uomo del futuro; poi, come abbiamo detto, ci sarà bisogno della metabolizzazione, ci sarà bisogno che tutto questo diventi normalità e quindi, come diceva Kempis, cambiando il punto di vista, un altro tipo di realtà si manifesterà per noi. Ma per adesso la realtà che viviamo noi è il tempo di Newton, e quindi noi viviamo con quella realtà e le leggi della Fisica di Newton valgono per costruire una casa. Le leggi della Fisica quantistica vengono in qualche misura già utilizzate, per esempio nei processori dei computer.”
Intervento: “Però, se così è, tra 10 e più anni potremmo anche ragionare in termini quantistici e quindi preparare una realtà in termini diversi.”
Risposta “Intanto qualche filo cominciano a tesserlo. Vorrei attirare la vostra attenzione su un fatto, e cioè che tutto o quasi tutto quello che gli uomini con la loro fantasia hanno pensato, da Giulio Verne a tanti altri, è stato realizzato. Ciò che è entrato nella coscienza prima come fantasia e poi come idea è stato realizzato; quindi ciò che a noi oggi viene proposto come ancora fantascientifico, virtuale non è affatto escluso che lo si potrà vivere come nostra realtà. La fantasia anticipa sempre la realizzazione, è molto più vicina all’intuizione e l’intuizione comincia a essere considerata oggi come un elemento importante nell’esistenza dell’uomo, un elemento da utilizzare come valore paritario nei confronti della razionalità, in moltissime scienze.” Abbiamo fatto insieme un viaggio bellissimo che mi ha permesso di utilizzare lo strumento dell’intuizione, quindi il ringraziamento è reciproco perché questa serata è la sintesi di un insieme, che siamo tutti noi intesi come unità. D’altra parte se siamo interconnessi! Domanda :...
Risposta “C’è una cosa che spiega bene questo meccanismo. In effetti, e non ricordo chi lo disse, si parlava del libro come qualche cosa in cui lo scrittore rovescia ciò che è, ovvero se stesso, e anche la sua intuizione più alta; e congela questa intuizione, attraverso il suo vocabolario, il linguaggio che conosce, sulle pagine del libro. Poi succede che il lettore apre il libro e dà vita a qualche cosa che è li congelato. Ma è il lettore che dà vita a quello che legge, e a un certo punto non si sa più se quel che legge venga dallo scrittore o l’abbia percepita tra quelle righe il lettore, per cui il lettore fa rivivere il libro un po’ come fa il misuratore dell’elettrone dando gli attributi all’elettrone. Il lettore dà al libro la sua capacità di intendere il vocabolario che incontra e accende la sua intuizione per quel libro. E’ quello che diceva Susi a proposito dell’Alighieri, perché in effetti nella Divina Commedia ci sono tanti livelli di lettura.” Intervento: sul misuratore degli elettroni ...
Risposta “Gli elettroni potrebbero dare una quantità di risposte; la danno in base alle opzioni proposte dal misuratore. In effetti quello che emerge da questo riscontro che si è fatto oggi implica un livello, quello della creazione/percezione, e cioè l’intervento della persona; infatti si dice che il fenomeno osservato non è mai il fenomeno in sé, non può essere mai separato dall’osservatore perché l’osservatore interviene sul fenomeno ... per questo si dice che a seconda di come si pone l’osservatore cambia il fenomeno, cambiano gli elementi del fenomeno, per questo l’elettrone prende lo spin a destra o a sinistra secondo un certo asse e questo perché l’elettrone, secondo quello che dicono i fisici e anche secondo i Maestri, esiste in potenza..”. Intervento: sulla nube elettronica ... Risposta - “Una cosa che si può dire è che, oltre alla mente più aperta, hanno anche molta fantasia perché lo spin lo chiamano in tanti modi e gli attribuiscono anche un colore che non hanno .... .. Intervento: “Forse è il nostro occhio che associa i colori…”
Risposta: “Loro non vedono i colori; semplicemente glieli danno per una convenzione linguistica, non arrivando più con il linguaggio a poter descrivere le particelle sub-atomiche. E questo è bello perché si entra nell’ambito della capacità della fantasia umana per tentare di usare un linguaggio sottraendolo ai significati semantici che hanno.. perché se non si fa questo non si riesce più a descrivere questa realtà.” Intervento...
Risposta: “Effettivamente è possibile sperimentare certe condizioni di non tempo. forse si sta aprendo un barlume di coscienza, un po’ di coscienza manifesta di per sé la capacità di cogliere un aspetto che per noi è paradossale. Bisogna a poco a poco fare i conti con l’aspetto paradossale della vita che è più reale di quello che noi invece crediamo come ……? ( manca la pagina finale )
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